UNA MOBILITA’ CHE NON SI MUOVE

 

Se pensiamo alla bicicletta come a un mezzo di trasporto, qualsiasi ragionamento sulle due ruote non può che partire da un’analisi, anche veloce, della mobilità. Ossia dell’attuale immobilità della mobilità urbana. Il traffico è sempre più congestionato da un parco macchine che non ha pari in Europa, il trasporto pubblico è scarsamente attrattivo, le isole pedonali sono praticamente immutate da un anno all’altro (0,35 mq per abitante), le zone a traffico limitato si sono rimpicciolite (da 2,38 mq per abitante dello scorso anno ai 2,08 attuali). E oramai nelle grandi città si buttano due settimane all’anno in automobile a una velocità media che non supera mai i 25 chilometri orari.

Nonostante la situazione della mobilità sia in costante peggioramento, anche nella nostra piccola città di Trapani, le contromisure prese dalle amministrazioni locali sono in massima parte insignificanti, quando non addirittura assenti. Si aumentano semafori e parcheggi, si realizzano nuove rotonde, si dipingono strisce di vario colore anche in prossimità di incroci e scivoli per hanticappati e via dicendo….

Per il resto è il nulla.

In molte città europee invece ci si sta muovendo sui altri fronti che consentono una mobilità più spedita, più pulita, più sicura, più attenta alla qualità della vita e dell’ambiente: il contenimento della domanda di trasporto individuale motorizzato e l’incentivo a forme di trasporto diverse dall’auto privata, favorendo i mezzi collettivi, elettrici e su rotaia, la bicicletta e, perchè no, gli spostamenti a piedi. Alle auto vengono lasciati solo quegli spostamenti che non sono proprio realizzabili con altri veicoli, spingendo su formule on demand o sul pay per use come il taxi, il noleggio o il car-sharing, il car-pooling.

I nostri sono centri storici a misura di carrozza più che di Suv, ma di automobili purtroppo se ne vedono ovunque. Piccole piazzette intasate di auto (un esempio per tutti quella antistante la chiesa di San Francesco di Paola…. a due passi c’è il parcheggio a pagamento di San Pietro) e vicoli con auto parcheggiate disordinatamente.

In Italia c’è uno dei più alti indici di motorizzazione al mondo, che continua peraltro a crescere senza sosta: eravamo a 501 autovetture ogni 1.000 abitanti nel 1991, siamo a oltre 600 oggi.

La nostra città è a 490! Ma perchè aspettare che la situazione peggiori? Per sentirsi dire da un non ben precisato futuro sindaco che si doveva fare qualcosa molto prima, che adesso non c’è più nulla da fare? Un po come ha fatto qualcuno, in tempi non sospetti, affermando che le piste ciclabili andavano pensate in sede di progettazione della città e che adesso non c’è nulla da fare…. E si ci dovevano pensare i Sicani, al massimo Enea per facilitare gli spostamenti di suo padre Anchise.. ).

Eppure dovrebbe essere evidente l’esigenza, anzi l’urgenza, di sperimentare nuovi approcci alla gestione del traffico urbano, non più solamente ispirati alla logica dell’offerta (nuove strade, nuovi parcheggi, nuovi svincoli, nuovi bus…), ma finalizzati a governare e orientare anche la domanda e il modo in cui viene soddisfatta, ottimizzando dove possibile il rapporto fra flussi di traffico e capacità della rete stradale. (chi non ci crede stia fermo davanti le scuole Umberto all’ora di punta e respiri a pieni polmoni per una mezz’oretta…).

C’è chi dice che chi semina parcheggi raccoglie traffico, ed effettivamente è così, inotre se pensiamo che un posto auto ingombra per 10 mq è facile capire come in una città come Trapani per far posto alle 350mila auto dei residenti più le altre che arrivano dai comuni limitrofi (soprattutto dal quartiere Casa Santa) si sacrificano alla sosta oltre 3 milioni e 500 mila di mq. Spazio destinato ad abitacoli privati che rimangono fermi e inutilizzati per il 90% del tempo. E aumentare strade e parcheggi, come ormai è dimostrato, vuol dire solo attrarre più traffico.

Cosa fare, dunque? Ci sono almeno tre interventi che si possono realizzare anche senza bisogno di impegnare ingenti risorse economiche.

Il primo: assicurare al trasporto pubblico di superficie la possibilità di una maggiore fluidità estendendo il più possibile la rete (da noi completamente assente) di corsie preferenziali. Un’azione di questo tipo potrebbe assicurare due risultati immediati, quasi a costo zero: la sottrazione di spazio alle automobili e una reale concorrenzialità del bus rispetto alle vetture private.

Secondo: l’adozione di un pedaggio urbano per le aree più congestionate. Applicato in zone

significativamente estese, ridimensionerebbe gli ingorghi, regolerebbe il traffico, migliorerebbe

l’efficienza del trasporto pubblico, ridurrebbe le emissioni inquinanti. Si tratta di superare le obiezioni politiche (elettoralistiche in realtà) e di trovare un prezzo di mercato equo per questo bene assai scarso (lo spazio urbano) fino a oggi offerto gratis o quasi agli automobilisti. Ma questo nella nostra città è improponibile, solo un amministratore politicamente votato al suicidio lo farebbe.

Terzo: andrebbe inaugurata una politica per la mobilità dolce, riducendo la velocità dei mezzi a motore e rendendo più sicuri gli spostamenti a piedi o in bicicletta.

Per fare queste tre cose non servono soldi (anzi il pedaggio li porta direttamente, le corsie preferenziali indirettamente riducendo i costi del carburante per gli augobus). Serve la voglia. La voglia di pensare che non è un destino cinico e baro a intrappolarci nell’ingorgo quotidiano, ma una precisa scelta degli amministratori e dell’insieme degli automobilisti.

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