Nell’aula bunker del Tribunale, Salone condannato a 10 mesi
La notizia sta facendo il giro di tutte le redazioni locali: 10 mesi di reclusione a Francesco Salone e 9 mesi al datore di lavoro, il titolare di una nota azienda di San Vito Lo Capo. Questa la sentenza, pena sospesa, emessa oggi alle 17 circa dal giudice Giancarlo Caruso nell’Aula bunker del Tribunale di Trapani.
Il reato contestato all’ex consigliere comunale era quello di truffa [1] ai danni del Comune di Trapani per aver percepito ingannevolmente consistenti somme di denaro quantunque non spettantegli.
Con la stessa sentenza, il giudice ha condannato i due imputati (Salone e Billeci) a restituire al Comune capoluogo la somma indebitamente percepita, poco più di 50.000, nonché le spese legali sostenute dal Comune che si era costituito parte civile nel procedimento, 1.700 euro circa.
Assolta, invece, l’azienda “Delfino” (diciamo calcisticamente coinvolta per “responsabilità oggettiva”) per i reati previsti dal Decreto Legislativo 231/2001. Sui motivi di quest’ultima assoluzione, sarà interessante approfondire quando il giudice – entro i prossimi 90 giorni – pubblicherà le motivazioni della sentenza.
Un giuramento di fedeltà agli interessi del Comune tradito
Quella di Salone è una condanna pesante, per un reato grave, perché commesso da un rappresentante dei cittadini ed a questi legato dal giuramento di fedeltà.
Giuro di adempiere le mie funzioni con scrupolo e coscienza nell’interesse del Comune in armonia agli interessi della Repubblica e della Regione.
FORMULA DEL GIURAMENTO DEI CONSIGLIERI COMUNALI
Si tratta, comunque, pur sempre di una condanna di primo grado, sicché è possibile che nei successivi gradi di giudizio, i due odierni condannati tenteranno di capovolgere il risultato:
- i fatti avvenuti, tuttavia, non sono contestati dagli imputati,
- le richieste di “rimborso” ci sono state,
- i pagamenti dal parte del Comune pure.
La difesa ha sostenuto la liceità delle somme incassate, all’opposto della pubblica accusa, ma tutto ciò rientra nel normale ruolo delle parti.
La vicenda ruota attorno ai “rimborsi spese” che taluni consiglieri percepiscono in aggiunta al più o meno pesante “gettone di presenza”.
In pratica, i consiglieri comunali che “lavorano” alle dipendenze di terzi hanno diritto a speciali permessi per assentarsi dal posto di lavoro, ma a spese del Comune. E qui nasce il “giochino” di molti consiglieri neo eletti e disoccupati: trovare un “lavoro” DOPO l’elezione.
L’operazione consente, praticamente, di RADDOPPIARE le proprie entrate, ovviamente solo se il lavoro dichiarato non è realmente intrattenuto.
All’epoca dei fatti, ci fu una querelle pubblica su Facebook fra l’avvocato Francesco Spina e l’odierno imputato, da me documentata in “L’assessore Spina CONDANNA il consigliere Salone”.
Paga solo Salone, ma altri consiglieri hanno beneficiato del rimborso delle assenze per lavoro
Altri rapporti di lavoro dei consiglieri – arringava l’avvocato del Salone – sono transitati sotto la “lente” della Guardia di Finanza. Lui non ne ha fatto i nomi. Ma le sue chiare allusioni mi riconducevano ai casi degli ex consiglieri :
- Tiziana Carpitella assunta dal MARITO, UN MESE dopo l’elezione;
- Giorgio Colbertaldo in forza nell’azienda di FAMIGLIA;
- Salvatore Pumo, assunto dalla ottantenne MADRE dopo essere stato BARMAN di se medesimo.
Tuttavia, nel tempo, ci sono stati altri casi. Da Domenico Mazzeo a Giuseppe Guaiana passando per Fabio Bongiovanni, all’epoca del loro primo mandato, tutti accumunati dall’esserestati assunti solo DOPO la propria elezione a consigliere.
Casi che hanno indotto l’avvocato di Salone a dire di sentire « olezzo ».
Tuttavia, il magistrato inquirente non ha individuato in tali rapporti alcuna possibilità giuridica di perseguire i consiglieri. Diverso è apparso il “caso Salone”.
Non ho le carte che sono nel fascicolo processuale. Ho solo ascoltato e visto, unico osservatore presente in aula, l’arringa della difesa e la replica del pubblico ministero in questa odierna ultima udienza, per tale motivo, non ho ulteriori dati da raccontare della vicenda giudiziaria.
La difesa : il diritto di Salone a lavorare è difeso dalla Costituzione
Posso solo aggiungere che, stamani, la difesa di Salone ha provato ad insinuare il dubbio nel giudicante. C’è riuscita parzialmente, permettendo il contenimento della pena inflitta. L’accusa, infatti, nell’udienza precedente, aveva richiesto la condanna di Francesco Salone a 2 anni e 8 mesi.
E’ stata una difesa a 360 gradi, con ben quarantacinque minuti di arringa a cura del noto e canuto penalista trapanese.
Ha iniziato leggendo l’articolo 1 della Costituzione (“L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro”), ha proseguito con l’articolo 51 (“Chi è chiamato a funzioni pubbliche elettive ha diritto […] di conservare il suo posto di lavoro”), toccando perfino taluni aspetti della legge sulla gravidanza (!).
L’avvocato ha proposto una personale « interpretazione autentica » del dettato Costituzionale e dell’articolo 20 della legge regionale n. 30/2000. Si tratta della norma che regola i rimborsi spese ai consiglieri comunali. Questi, però, spettano ESCLUSIVAMENTE a coloro che svolgono un lavoro DIPENDENTE (non ai professionisti, agli artigiani, ai commercianti, ecc).
Ma qui si è “inceppato” il meccanismo difensivo. Salone a San Vito Lo Capo svolgeva veramente un rapporto di lavoro dipendente? Oppure questo era solo “simulato” al fine di ottenere il rimborso da parte del Comune ?
L’accusa e il giudice hanno “sposato” la seconda ipotesi. La stessa difesa, d’altro canto, nell’arringa aveva ammesso che la prestazione era « fuori dagli schemi ».
La difesa di Salone : uno ricco che non ha bisogno di compiere illeciti !
Poco condivisibile la parte dell’arringa dedicata al profilo dell’imputato. Salone è stato indicato come « un uomo che possiede un consistente patrimonio e che fruisce di un elevato reddito familiare » per affievolire le ipotesi accusatorie.
Uno così non truffa, ha detto la difesa in sostanza.
Una considerazione che suggerisce questo ragionamento : un poveraccio che lavora, che suda ogni giorno per portare il pane a casa ha una maggiore propensione a compiere atti illeciti; il ricco, invece, non ha bisogno di compiere delitti. Mah !
Io, di fronte a cotanta teoria, mi sono sentito offeso.
L’avvocato ha rincarato: « ogni anno per dicembre l’imputato devolveva l’intera propria indennità di consigliere. Questo dimostra quale fosse il suo rapporto col denaro ».
Anche qua non mi ha convinto.
Ma non ha convinto neanche il giudice che ha condannato Francesco Salone.
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Note:
- [1] Dispositivo dell’art. 640 Codice penale: « Chiunque, con artifizi o raggiri, inducendo taluno in errore, procura a sé o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da cinquantuno euro a milletrentadue euro ».
- Tra i vari articoli pubblicati quest’oggi, l’unico che analizza “politicamente” la sentenza e quindi segnalo da leggere è quello di Aldo Virzì su TVIO.