I PROFESSIONISTI DELL’ANTIMAFIA
«In questa Provincia fare informazione sulla mafia è difficilissimo, perché c’è la mafia dell’informazione […]» ha detto qualche settimana addietro, qualcuno. Poi ha preseguito «Non è facile informazione in Provincia di Trapani. Perché la parola migliore che ti pigli è quella di essere “Professionista dell’Antimafia”. Lì sono tutti bravi a ricordare la frase di Sciascia. Poi se tu parli con chi firma questo genere di documenti, e gli dici ma mi ricorda cosa c’è scritto in quest’articolo sul Corriere della Sera, non lo sa nessuno». Siamo andati noi a scovare quest’articolo ed a proporlo.
La “vicenda” de «I professionisti dell’Antimafia» nasce da un omonimo articolo pubblicato su Corriere della sera a firma dello scrittore Leonardo Sciascia. E’ il 10 gennaio 1987.
In quell’articolo, Sciascia, parte da un esempio storico del periodo fascista per giungere ai nostri giorni. «Prendiamo, per esempio, un sindaco che per sentimento o per calcolo cominci ad esibirsi – in interviste televisive e scolastiche, in convegni, conferenze e cortei – come anti-mafioso: anche se dedicherà tutto il suo tempo a queste esibizioni e non ne troverà mai per occuparsi dei problemi del paese o della città che amministra (che sono tanti, in ogni paese, in ogni città: dall’acqua che manca all’immondizia che abbonda), si può considerare come in una botte di ferro. […] chi mai oserà promuovere un voto di sfiducia, un’azione che lo metta in minoranza e ne provochi la sostituzione? Può darsi che, alla fine, qualcuno ci sia: ma correndo il rischio di essere marchiato come mafioso, e con lui tutti quelli che lo seguiranno. […] Questo è un esempio ipotetico». [in realtà Sciascia si riferirebbe a Leoluca Orlando, allora sindaco di Palermo -> confronta in tal senso il sito Contrastamu.org].
«Ma eccone uno attuale ed effettuato. Lo si trova nel "notiziario straordinario n. 17" (10 settembre 1986) del Consiglio Superiore della Magistratura. Vi si tratta dell’assegnazione del posto di Procuratore della Repubblica a Marsala al dottor Paolo Emanuele Borsellino e dalla motivazione con cui si fa proposta di assegnargliela salta agli occhi questo passo: "Rilevato, per altro, che per quanto concerne i candidati che in ordine di graduatoria precedono il dott. Borsellino, si impongono oggettive valutazioni che conducono a ritenere, sempre in considerazione della specificità del posto da ricoprire e alla conseguente esigenza che il prescelto possegga una specifica e particolarissima competenza professionale nel settore della delinquenza organizzata in generale e di quella di stampo mafioso in particolare, che gli stessi non siano, seppure in misura diversa, in possesso di tali requisiti con la conseguenza che, nonostante la diversa anzianità di carriera, se ne impone il "superamento" da pane del più giovane aspirante"».
«Passo che non si può dire un modello di prosa italiana, ma apprezzabile per certe delicatezze come "la diversa anzianità", che vuoi dire della minore anzianità del dottor Borsellino, e come quel "superamento", (pudicamente messo tra virgolette), che vuoi dire della bocciatura degli altri, più anziani e, per graduatoria, più in diritto di ottenere quel posto. Ed è impagabile la chiosa con cui il relatore interrompe la lettura della proposta, in cui spiega che il dottor Alcamo – che par di capire fosse il primo in graduatoria – è "magistrato di eccellenti doti", e lo si può senz’altro definire come "magistrato gentiluomo", anche perché con schiettezza e lealtà ha riconosciuto una sua lacuna "a lui assolutamente non imputabile": quella di non essere stato finora incaricato di un processo di mafia. Circostanza "che comunque non può essere trascurata", anche se non si può pretendere che il dottor Alcamo "piatisse l’assegnazione di questo tipo di procedimenti, essendo questo modo di procedere tra l’altro risultato alieno dal suo carattere"».
«I lettori, comunque, prendano atto che nulla vale più, in Sicilia, per far carriera nella magistratura, del prender parte a processi di stampo mafioso».
A Sciascia risponde lo stesso giudice Paolo Borsellino, in un’altra intervista (Noi, ex professionisti dell’antimafia) rilasciata al giornalista Saverio Lodato e pubblicata sull’Unità del 13 agosto 1991 […] «Sì. Io ero uno dei professionisti dell’antimafia. L’altro, in campo politico, era Orlando. […] Poi Sciascia, rimeditando sulla faccenda, convenne sul fatto che in magistratura con l’antimafia non aveva mai fatto carriera nessuno. Né tanto meno l’avevo fatta io.
[…] A mio parere, Sciascia era molto preoccupato di un fenomeno che io quel momento si era verificato. L’antimafia era qualcosa che politicamente rendeva, e conseguentemente, accanto a coloro che cavalcavano quella tigre perché ci credevano c’erano anche molte persone che la cavalcavano per tornaconto individuale. Lui intese indicare questo fenomeno all’opinione pubblica come esecrabile. Il suo intervento ebbe quantomeno il merito di stroncare molte carriere di politici che stavano salendo su quel carro con troppa disinvoltura».
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Quel dott. Alcamo di cui parla Sciascia è Giuseppe Alcamo, attuale difensore civico di Trapani.