RICORDANDO PEPPINO IMPASTATO
TRAPANI – "Lezione" sulla mafia, sulla legalità e sulla cultura mafiosa di Giovanni Impastato, fratello di Peppino ucciso dalla mafia a Cinisi proprio 30 anni fà, il 9 maggio 1978, a Trapani. L’occasione un incontro promosso dalla neo-presidente di Libera Trapani, Margherita Asta, svoltosi questo pomeriggio presso la sede della Chiesa Valdese di via Orlandini.
In apertura Alessandro Esposito, pastore della Chiesa Valdese di Trapani e Marsala, nel "presentare" l’iniziativa, ha tenuto a sottolineare che "In un contesto ove i silenzi troppo spesso soffocano la legalità, noi invece, come comunità cristiana evangelica valdese, vogliamo pronunciare una parola chiara, certe e certi, con questo, di dimostrarci fedeli a quel Dio scomodo che intendiamo predicare, coscienti che l’annuncio cui siamo chiamati debba al contempo essere denuncia. Denuncia di quei soprusi quotidiani che il silenzio autorizza ed incoraggia. Ogni chiesa, se intende dirsi realmente cristiana, ha il dovere di occuparsi di mafia e di contrastarla, pronunciando al rispetto parole inequivocabili ed agendo in conformità a queste ultime" . (scarica qui il documento integrale letto dal pastore).
Ma il clou, ovviamente, per poco meno di cento spettatori, è stato il "monologo" di Giovanni Impastato (che, tuttavia, alla fine s’è concesso, opportunamente, al dibattito).
Un intervento, quello di Impastato, che induce, a momenti, nella rassegnazione, in altri alla riflessione e rabbia. In conclusione, però, un incontro da ripetere più spesso, una "lezione" per la quale "allargare" l’uditorio, alle scuole (superiori: ma succederà mai?), ai politici (a proposito ieri erano tutti assenti, di destra e di centro-sinistra), alle famiglie.
"La mafia non è solo un problema d’ordine pubblico, ma culturale – ha esordito Giovanni Impastato -. Da risolvere, quindi, alle radici. La cultura mafiosa è profondamente radicata dentro di noi. E’ un modo d’agire, di pensare".
Non possiamo che essere d’accordo con lui, ed aggiungiamo la definizione di mafia che da l’enciclopedia Wikipedia: "Le analisi moderne del fenomeno della mafia la considerano, prima ancora che una organizzazione criminale, una "organizzazione di potere"; ciò evidenzia come la sua principale garanzia di esistenza non stia tanto nei proventi delle attività illegali, quanto nelle alleanze e collaborazioni con funzionari dello Stato, in particolare politici, nonché del supporto di certi strati della popolazione. Di conseguenza il termine viene spesso usato per indicare un modo di fare o meglio di organizzare, non necessariamente cose illecite. Quindi il termine "mafioso" può essere utilizzato nel linguaggio comune per definire, per esempio un sindaco che dia concessioni edilizie solo ai suoi "amici" o un professore universitario che fa vincere borse di studio a persona anche valide ma a lui legate o la nomina da parte di un governo di altissimi dirigenti anche capaci ma "politicamente vicini" alla maggioranza di cui il governo è espressione".
Ci avete trovato, nella definizione, qualcuno che conoscete, anche di centro-sinistra?
Aggiunge Impastato che, tuttavia, "se si vuole, si può rompere con la cultura mafiosa, anche se si vive all’interno di una famiglia mafiosa (e mio padre era un mafioso)". Io, ad esempio, dopo la morte di Peppino, sono rinato, mi sono assunto le mie responsabilità".
Poi, però, un’amara riflessione. "Tanta gente, tanti giudici, – spiega Giovanni – che hanno iniziato a dubitare della pista terroristica (si ricorda che, all’inizio, si disse, da parte delle Autorità, che Impastato fosse morto nel corso di un attentato terroristico che stava preparando sulla linea ferroviaria Palermo-Trapani) e che si sono addentrati nella pista mafiosa sono morti, uccisi in qualche modo dalla mafia. Il giudice Gaetano Costa, il sostituto Domenico Signorino, Rocco Chinnici, lo stesso Giovanni Falcone. Non è stato civile e democratico aspettare un quarto di secolo per giungere alla verità, noi abbiamno vissuto in un paese (l’Italia, ndr) dove non c’è stata legalità" (il tribunale ha condannato il boss Gaetano Badalamenti per l’omicidio, solo nel 2002, ndr).
D’altro canto, invece "le persone che hanno cercato di insabbiare le indagini, sono tutte vive, nessuno è morto neanche per cause naturali, ed hanno fatto una splendida carriera. Sembra un paradosso".
Lucidamente, quindi, Impastato individua i problemi da affrontare per poter vincere non una battaglia, ma la guerra contro la mafia: l’informazione e la cultura non mafiosa.
"I mafiosi non sono invincibili, ma finchè viviamo in un contesto di cultura mafiosa, questo problema non è risolvibile", dichiara.
"Il problema dell’informazione è determinante per l’impegno antimafia. Oggi sappiamo chi ha in mano l’informazione", polemizza, anche se poi ammette che "in Sicilia otto giornalisti sono stati uccisi dalla mafia. Infatti, quando l’informazione è trattata in un certo modo (corretta ed alternativa), chi fa informazione inizia a rischiare".
Forse allora non è un problema di giornalisti ma di editori liberi? E come fa un editore ad essere libero?
Uno sfogo, quindi, nei confronti degli italiani: "Vedo – spiega – che non c’è molta indignazione nel nostro paese. Uno, Marcello Dell’Utri, dice che c’è bisogno di rivedere i libri di storia, che ci sono nuovi eroi come Vittorio Mangano, mafioso ed ergastolano, una cosa da fare schifo, e non succede nulla". Il futuro Presidente del Consiglio gli da ragione! "Un eroe un omertoso. E’ un paese civile questo? In un altro paese, anche in Uganda, con tutto il rispetto per l’Uganda, cose del genere non sarebbero successe!".
L’allarme. "Se noi non ci emozioniamo e indignamo per queste cose entriamo in un processo di rassegnazione! Sono preoccupato, anche se non pessimista".
Giovanni Impastato, prima d’invitare tutti i presenti a Cinisi per venerdì 9 maggio per le manifestazioni dell’anniversario della morte di Peppino Impastato, ha concluso il proprio intervento invitando a battaglie concrete di "disubbidienza civile" contro le leggi ingiuste ("la legalità è una parola spesso abusata, non è osservare le leggi ingiuste, contro l’umanità", ha spiegato, "altrimenti avremmo dovuto anche, per essere legali, osservare le leggi razziali naziste"), per la riduzioni degli armamenti e la giusta redistribuzione delle risorse alimentari ed idriche.
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