D’Annunzio esempio d’attaccamento a dignità e sacrificio
Nel ricco epistolario – circa 500 messaggi – fra il poeta Gabriele d’Annunzio ed il dittatore Benito Mussolini, recentemente pubblicato, «si nota una certa diffidenza di fondo del letterato nei confronti dell’uomo politico».
A sostenerlo la dott. Margherita Giacalone, direttrice della biblioteca Fardelliana, introducendo, ieri pomeriggio, nella sala Torre Arsa della biblioteca comunale, i lavori della conferenza “Italia o Morte”, promossa dal movimento “A Misura d’Uomo”.
Il titolo del ciclo di conferenze era evidentemente inspirato al saggio “Italia o Morte” scritto nel 1921 proprio dal d’Annunzio.
«Ritenere D’Annunzio fascista è, dunque, un modo di affrontare la questione in modo troppo superficiale: è vero che in tutte le opere dannunziane sono presenti la sua visione romana e italica dei destini della nazione, l’esaltazione del coraggio, della virilità, la ricerca della potenza e della gloria, che diventeranno strumenti della propaganda fascista, ma è anche vero che il fascismo, come strumento di potere tout court, come fazione, come gerarchia, non poteva in alcun modo interessarlo», ha spiegato al folto pubblico presente la Giacalone.
D’Annunzio, in realtà, ha voluto essere un cittadino partecipe delle scelte politiche del proprio Paese e che anzi ha provato ad influenzare con il proprio impegno personale.
«Nel 1914, allo scoppio della guerra, si schierò contro la neutralità dell’Italia, dichiarata dal governo Salandra – ha raccontato, anche come esempio, la relatrice -. Rientrato precipitosamente a Roma d’Annunzio, nel mese di maggio 1915, incomincia a tenere ferventi comizi pubblici per incalzare un parlamento restio ad abbandonare la propria posizione di neutralità».
Una pressione sul Parlamento e sul Governo Salandra che riesce e che sortirà l’effetto dal d’Annunzio auspicato: l’Italia scende in guerra.
«Nonostante i suoi 52 anni di età – ha ricordato nella relazione ancora la dott. Giacalone – d’Annunzio chiese di essere arruolato». Voleva partecipare attivamente e personalmente alla lotta. Voleva essere un soldato che combattesse per il proprio ideale, per il proprio pensiero.
La direttrice della biblioteca Fardelliana, in proposito, ha citato un importante episodio: «Il 30 luglio 1915 d’Annunzio scrive a Salandra (che non vuole mandarlo in “prima linea”, NdR): Io non sono un letterato dello stampo antico in papalina e pantofole …. Io sono un soldato, ho voluto essere un soldato, non per stare al caffè o a mensa ma per fare quello che fanno i soldati. Io non ho vissuto, mio caro e grande amico, non ho vissuto se non per questi momenti».
Anche qui la “ pressione politica” di d’Annunzio ebbe un esito positivo.
D’Annunzio parteciperà, quindi, a diverse azioni, tanto aeree, che di terra, che navali (con i celebri MAS) che, se da un lato lo condurranno ad ottenere diverse medaglie, gli causeranno la perdita della vista totale per un occhio e la forte menomazione per il secondo (a seguito di un incidente aereo).
Come è scritto nella motivazione dell’assegnazione di una medaglia d’oro al valor militare (1919), in riconoscimento dell’alto ardimento e la sua adesione agli ideali della Patria: Gabriele d’Annunzio fu esempio “della pura dignità del dovere e del sacrificio”.