La brutalità della guerra tocca Parigi
Sono sotto choc.
Sono sotto choc perché venerdì sera già stavo dormendo quando sono stato svegliato di soprassalto da un’amica che mi ha chiamato al telefono avvertendomi: «Non sai che è successo? Accendi la TV!»
La TV, le confuse immagini che diffondeva, le confuse informazioni che venivano propagate da improvvisati ed impreparati giornalisti mi han tenuto sveglio fin quasi l’una: la guerra dal dimenticato Afghanistan, dall’arida Libia, dalla lontana Siria sembrava essersi spostata nel centro dell’Europa, a Parigi.
Le azioni di guerra svoltesi nella capitale francese – da prime frammentarie informazioni, compiute da un “kamikaze” di nazionalità francese e da altri cinque di nazionalità belga appartenenti all’esercito dell’IS – hanno condotto, anche per uno sconsiderato blitz delle forze dell’ordine locali, a 129 morti, molti feriti, di cui una novantina in gravi condizioni.
L’indomani, sabato, l’amica che, preoccupata, la sera prima mi aveva svegliato, era impegnata a chiedere informazioni sulla qualità dei croccantini da assegnare per la dieta del cucciolo di cane appena acquistato.
Io, sceso in Centro città, non avevo potuto non osservare la nave crociera della Costa che, appena approdata a Trapani, riversava turisti, molti francesi, che si distribuivano nelle vie pedonali a fare incetta di souvenir, oppure sul trenino e sul bus turistico scoperto per visitare le bellezze artistiche o naturalistiche del nostro territorio.
I commercianti alzavano, regolarmente, le loro saracinesche.
Un nuovo negozio attirava la mia attenzione: in piazza Lucatelli aveva appena aperto un negozio di profumi “alla spina”. Ivana, la titolare, mi accoglieva con uno smagliante sorriso e mi illustrava le qualità dei suoi prodotti. Mi convinceva per l’acquisto del profumo con la fragranza n. 112.
La vita, a Trapani, mia e di tutta la comunità, procedeva regolarmente come se a Parigi, dopo tutto, non fosse accaduto nulla. Ed, in effetti, dopo tutto, il dramma aveva eventualmente toccato 129 sconosciuti di una lontana città. Sì, qualche concittadino aveva “aggiornato” l’immagine del proprio profilo facebook inserendo quella della bandiera francese, ma la … “reazione” alla battaglia di Parigi si era conclusa lì. Qualche altro, ignavo di quanto successo, postava sul “social” la solita immagine d’un tenero gattino.
Siamo insensibili, forse. O, forse, siamo semplicemente coscienti della nostra inutilità, di non poter fare nulla per fermare questa guerra.
Dopo aver fatto colazione con una squisita fetta di rianata acquistata da Gaspare, il fornaio di via Domenico Giglio, chiudevo la mia passeggiata mattutina in Centro da Teresa Stefanetti, e nella sua classica “Libreria del Corso”. Qui individuavo ed acquistavo “Perché gli uomini fanno la guerra”, scritto – dopo la prima guerra mondiale – dal filosofo gallese e premio nobel (1950) Bertrand Russell. Attuale, no?
«La cosa più saggia, in ogni momento della guerra, sarebbe stata la pace immediata», scriveva Russell. Naturalmente se fossimo «capaci di pensare in termini di benessere individuale»!
«Il male peggiore che il nemico potrebbe infliggere con una pace sfavorevole, sarebbe un’inerzia se paragonato al male che ogni nazione si infligge continuando a combattere»!
«Ciò che non rende ovvio questo è l’orgoglio, l’orgoglio che rende intollerabile il riconoscimento della sconfitta»!
Il 7 ottobre 2001, quattordici anni fa, gli eserciti dell’Occidente, di Stati Uniti, del Regno Unito, della Germania, dell’Italia, della Francia, ecc hanno invaso l’Afghanistan e «hanno giustificato l’invasione, nell’ambito della guerra al terrorismo, con lo scopo di distruggere al-Qāʿida».
Ebbene, dopo quattordici anni, dopo le successive guerre avanzate dalla stessa coalizione militare, in Iraq e Libia, siamo ancora lì, impantanati: dobbiamo ammettere d’aver perso. La nuova guerra alla Siria sarà una nuova inutile sofferenza, per tutti.
E’ necessario «che la maggioranza degli uomini si ribelli contro la brutalità e l’inutile distruzione della guerra moderna» – scriveva sempre Bertrand Russell – e provveda a «riconoscere volontariamente le opposte richieste», in nome dell’autodeterminazione dei popoli e, soprattutto, in nome dell’amore verso la pace.