Aldo Moro: la Democrazia è semplicemente libertà e dialogo
«Non è importante che pensiamo le stesse cose, che immaginiamo e speriamo lo stesso identico destino, ma è invece straordinariamente importante che […] tutti abbiamo il proprio libero respiro, tutti il proprio spazio intangibile nel quale vivere la propria esperienza di rinnovamento e di verità, tutti collegati l’uno all’altro nella comune accettazione di essenziali ragioni di libertà, di rispetto e di dialogo».
Questo lo straordinario messaggio che ci ha tramandato uno dei più grandi statisti del nostro Paese, Aldo Moro, per come riportato, nel 1977, dal quotidiano “Il Giorno”.
Un messaggio “ecumenico”, di riconoscimento “dell’altro”, dell’altrui diritto a pensare diversamente: «Fra i compiti che noi abbiamo, noi partiti, noi partiti democratici soprattutto, è la difesa della Libertà», affermava nel 1964 al Congresso Nazionale di Roma della DC.
«La dialettica cittadino-Stato è ineliminabile», sosteneva Moro in un’assemblea della Democrazia Cristiana tenuto a Sorrento nel 1965.
Un’invito a sostenere e difendere la partecipazione del Popolo al proprio destino, alla Politica.
«La conciliazione delle masse con lo Stato, il superamento dell’opposizione tra il vertice e la base: non lo Stato di alcuni, ma lo Stato di tutti, non la fortuna di pochi, ma la solidarietà sociale, resa possibile dal maturare della coscienza democratica e alimentata dalla consapevolezza del valore dell’Uomo e delle ragioni preminenti della Giustizia». Questa la via della Politica che Moro aveva scritto, nella relazione introduttiva al congresso della DC del 1959, tenuto a Firenze.
Pur consapevole della «lentezza» dei processi legislativi, specie di quelli di maggiore «interesse civile e sociale» che talvolta «ristagnavano per intere legislature senza trovare il loro sblocco finale», Moro confermava, nel 1974, al Consiglio Nazionale della DC, di «non credere molto in rimedi istituzionali, soprattutto se si pensi a riforme costituzionali» per la loro «sempre latente pericolosità per la tenuta e la normale evoluzione del sistema democratico».
Aldo Moro, sempre, coerentemente, convinto della preminenza della Politica, affermava, ancora, nella campagna elettorale del giugno 1975, in riferimento al rapporto fra i due maggiori partiti politici italiani, la Democrazia Cristiana ed il Partito Comunista, come, pur in presenza di «forte contrapposizione ideale e politica … può svolgersi utilmente, sul terreno sociale e politico, il dialogo richiesto in una autentica dialettica democratica».
«La diversità fra i due Partiti – precisava Moro a novembre dello stesso anno durante i lavori del Consiglio Nazionale del Partito – non impedisce che si sappi e si valuti, per agire a ragion veduta. Né preclude un discorso civile».
Una dichiarazione rivoluzionaria ieri e, ancor più oggi. Per questo, forse, fu rapito, “processato” ed ucciso il 9 maggio 1978 da un gruppo chissà da chi “spedito”.
Il pensiero di un Maestro della Democrazia come Moro, tuttavia, regge ancora oggi, a quasi 40 anni dalla morte. La fiammella di tale pensiero va tenuta accesa, va protetta, va sostenuta.
La nostra è una Democrazia incompiuta.
Ridare la priorità alla Politica ed ai Partiti, piuttosto che ai “leader”, al dialogo fra Partiti e Movimenti, al rispetto delle minoranze anche più piccole, piuttosto che sostenere la forza della maggioranza, le riforme elettorali sempre più maggioritarie, la dittatura del 51%, potrebbe – assieme al sostegno alla crescita della cultura democratica e partecipativa del Popolo – portare a compimento quel Progetto cui anelava chi ha scritto, nel 1947, la nostra Carta Costituzionale.