BORSELLINO QUERELA VACCARINO
CASTELVETRANO (TP) – L’intervista rilasciata in maggio da Antonino Vaccarino ad “S”, il magazine del Giornale di Sicilia (puoi leggerla da qui), rischia di rivelarsi un autentico boomerang. L’ipotesi, che interrompe l’assordante silenzio seguito alle sue “rivelazioni”, si basa su atti da alcuni giorni al vaglio della Procura di Palermo (scarica qui il testo della querela) che potrebbero veder fallire l’ennesimo tentativo dell’ex sindaco di Castelvetrano di rendere meno discutibile il suo rientro in politica portando sulle spalle il peso della scontata condanna per traffico internazionale di stupefacenti. A presentarli è stato Salvatore Borsellino, fratello del magistrato, residente a Milano …
… in occasione della partecipazione alle manifestazioni organizzate a Palermo nella ricorrenza del sedicesimo anniversario della “Strage di Via D’Amelio” ha avuto modo di leggere la rivista ed altre cronache siciliane ed è rimasto molto sorpreso del fatto che “Svetonio” si sia rifiutato di rilasciare dichiarazioni registrate a Teresa Ilardo di questo giornale per chiarire, integrare ed approfondire quanto già aveva reso di pubblico dominio.
Conoscendoci da tempo, il 19 luglio ci siamo sentiti per telefono e quando è tornato al Nord sono andato a trovarlo per uso scambio di idee sulla vicenda.
Come spieghi – gli ho chiesto – la scelta di Vaccarino di vuotare il sacco soltanto con “S”?
«Per la verità mi ha colpito pure il suo linguaggio. Generalmente chi non ha niente da temere parla con tutti; chi invece preferisce il “dico e non dico” o il “dico a lui ma non dico a te” dimostra di avere “carbuni vagnàtu”, come si dice dalle nostre parti. Non ti pare? In tutti i casi nell’insieme delle affermazioni pubblicate su “S”, Vaccarino ha offeso la memoria di mio fratello: gli ha affibbiato attitudini ad anomalie procedurali che non gli erano proprie ed ha condito il suo racconto con fatti del tutto inventati e ragionevolmente da lui utilizzati solo per lanciare sibillini messaggi a destinatari ignoti. Basta riflettere su quella battuta che costituisce quasi l’incipit: “Scusi, perché parla di Svetonio in terza persona? Perché Svetonio non è Antonino Vaccarino, rappresenta i servizi segreti”».
Secondo varie fonti ha effettivamente collaborato con il Sisde, il servizio segreto civile, anche se lui, usando il plurale, sembra darsi l’aria di un superbo e “riservato” rappresentante di tutte le agenzie di “intelligence” possibili e immaginabili. Ma tu come vedi questo rapporto col Sisde?
«Mah! Penso solo che sarebbe impossibile togliere un corposissimo alone di opacità ad un personaggio che si è qualificato come collaboratore dei servizi di sicurezza – ed evidentemente è riuscito a diventarlo – pur essendo pregiudicato per un traffico di stupefacenti rientrante nell’orbita della famiglia mafiosa di Castelvetrano e pur essendo comunque stato (solo in passato?), come ha confermato nell’intervista, persona molto vicina ai boss Francesco e Matteo Messina Denaro, dei quali durante l’intervista è arrivato a tessere le lodi. E sorvolando pure sul fatto – a dire il vero piuttosto allarmante – che un collaboratore, a qualunque titolo, del Sisde abbia avuto contatti, durante tale suo legame con un servizio di sicurezza, non solo con Matteo Messina Denaro ma anche con l’allora latitante Bernardo Provenzano, come dovrebbe dedursi dal fatto che nel covo in cui il boss corleonese è stato catturato sono stati trovati numerosissimi pizzini che a Vaccarino, mediante un’apposita sigla, facevano riferimento».
Non a caso, su queste colonne, Teresa Ilardo lo ha definito «uno dei personaggi più emblematici della società castelvetranese». E’ noto che nella zona succedono cose che sembrano incredibili. Una volta fu scarcerato un capomafia e in una casa di campagna dei dintorni ci fu un assembramento di circa 500 auto: parenti, amici e conoscenti si erano precipitati in fretta per congratularsi e riconoscere la superiorità di un boss che durante la galera era sempre rimasto zitto: non aveva collaborato con la giustizia e quindi era ritenuto meritevole di stima e di considerazione. Lo stesso atteggiamento di … “benevolenza” è presente in larghe fasce della popolazione nei confronti di Matteo Messina Denaro: lo hanno dimostrato alcune intercettazioni riguardanti conversazioni anche fra persone che hanno un certo ruolo nella società: insegnanti ad esempio, quindi educatori. E Vaccarino era docente di filosofia e pedagogia.
La situazione di Castelvetrano si inquadra però in un contesto più ampio perchè è risaputo che nel Trapanese la mafia continua a riscuotere tra l’opinione pubblica consensi che «non di rado, si sono concretizzati in comportamenti che hanno assunto contorni di vera e propria connivenza, determinata dalla condivisione dei modelli di vita proposti dall’organizzazione», per cui per tanti «l’adoperarsi in favore di organizzazioni mafiose, o di esponenti di essi, viene avvertito come comportamento dovuto».
Questa constatazione si trova nella relazione ufficiale della Direzione Nazionale Antimafia di qualche anno fa.
Ma quali sono i punti dell’intervista che hanno urtato maggiormente la tua suscettibilità?
«Quelli centrali: dopo aver aver affermato che il collaboratore di giustizia Vincenzo Calcara sarebbe stato “un cretino al quale qualcuno ha messo in bocca questi depistaggi” e che “Calcara è uno al quale qualcuno diceva cosa raccontare”, Vaccarino così si è testualmente espresso: “Paolo Borsellino, il 15 luglio del 1992, pochi giorni prima della strage di via D’Amelio, venne ad interrogarmi. Quando appurò che io con la mafia non c’entravo nulla mi chiese, davanti a diversi avvocati, perché mai avevo raccomandato Calcara al giudice Carnevale per un processo in Cassazione. Gli dissi che non era vero, che lo avevo solo raccomandato per trovargli un lavoro pulito. Mi rispose che lo avrebbe appurato controllando i collegi della Cassazione. Il 17 luglio, l’avvocato Frino Restivo mi riferì che Borsellino gli aveva detto di presentare l’istanza di scarcerazione. Aveva scoperto che Carnevale non aveva trattato alcun processo che riguardava Calcara”».
Qualsiasi persona di buon senso direbbe che è facile per Vaccarino far parlare il magistrato morto e contare sulla testimonianza di in avvocato vivo con il quale, probabilmente, aveva concordato e programmato in precedenza una precisa strategia: denunciare Calcara per calunnia e far leva sulle asserite prese di posizione di Borsellino da raccontare alla stampa per migliorare la propria immagine. O no?
«Quando parlavo dell’attribuzione a mio fratello di attitudini e anomalie procedurali mi riferivo proprio a questo. Mi spiego: al di là del fatto che Paolo Borsellino fu il primo magistrato che raccolse a verbale le dichiarazioni del collaboratore di giustizia Vincenzo Calcara e che ne fece processualmente uso, cosicché egli si troverebbe ad essere stato, alternativamente, o il suggeritore dei depistaggi o – più probabilmente, in coerenza con le altre affermazioni – l’incauto e sprovveduto ricettore dei depistaggi, l’immagine che di Paolo Borsellino viene fuori dalle parole di Vaccarino è intollerabilmente squalificata».
Puoi fare ulteriori puntualizzazioni per far capire meglio ai lettori?
«Secondo quanto sostiene Vaccarino, mio fratello, in relazione ad attività d’indagine svolta, anziché muoversi secondo le prescrizioni del codice di rito, avrebbe informalmente e surrettiziamente fatto da consulente della difesa, peraltro di una persona che egli stesso si era adoperato a far arrestare. Peggio ancora sarebbe, peraltro, se i consigli sotto banco alla difesa dell’indagato si riferissero ad un procedimento del quale Paolo Borsellino non fosse stato titolare».
In effetti, le parole di “Svetonio” suonano così.
«Ma certamente! Con le espressioni che ho citato prima, Vaccarino ha fatto credere ai lettori di “S” che Paolo Borsellino, oltre ad aver fatto involontariamente da amplificatore degli asseriti depistaggi di Calcara, fosse un magistrato irrispettoso delle regole e aduso a concordare strategie difensive con gli avvocati al di fuori di ogni ritualità. Ma questo non è ancora tutto».
In che senso?
«Vaccarino sostiene che Paolo Borsellino ebbe ad interrogarlo il 15 luglio 1992. Se così fosse stato, dovrebbe esserci un verbale nel quale l’interrogatorio sarebbe stato documentato, con la conseguenza che, se in tale – ipotetico – verbale non ci fosse traccia della domanda evocata da Vaccarino (“Quando appurò che io con la mafia non c’entravo nulla mi chiese, davanti a diversi avvocati, perché mai avevo raccomandato Calcara al giudice Carnevale per un processo in Cassazione”), ne risulterebbe a carico di Paolo Borsellino pure l’accusa, non solo infamante ma anche calunniosa, di falsità per omissione nella redazione del verbale».
Una ipotesi paradossale! Ma come si può sostenere che da un momento all’altro un magistrato così scrupoloso abbia potuto agire in questo modo per cose così delicate?
«Sono le stesse parole di Vaccarino che delineano una cornice dei fatti abbastanza inverosimile. Non solo, infatti, è surreale l’affermazione secondo cui Paolo Borsellino mentre svolgeva l’interrogatorio si sia reso conto – e come? – che Vaccarino “con la mafia non c’entrava nulla” ma è anche significativo che Vaccarino indichi come presenti all’interrogatorio “diversi avvocati”,peraltro innominati, ma non anche ufficiali di polizia giudiziaria, altri ausiliari del pubblico ministero o colleghi di Paolo Borsellino. Né meno inverosimiglianza ha l’affermazione secondo cui, pressoché in diretta, Paolo Borsellino avrebbe verificato che il giudice Carnevale non si era mai occupato di Vincenzo Calcara : in tal caso ci sarebbe pure stata una delega d’indagine del magistrato alla polizia giudiziaria ed una informativa della polizia giudiziaria con cui tale delega sarebbe stata evasa».
Il che lascia ipotizzare che Vaccarino cerchi di attuare un piano, ma non conoscendo leggi e procedure, si dà una zappata sui piedi …
«Non solo, ma c’è dell’altro: esistono ulteriori plurimi elementi che depongono per l’inveridicità dei fatti raccontati da Vaccarino nell’intervista. Bisogna considerare infatti che il 15 luglio è la ricorrenza di Santa Rosalia, patrona di Palermo, ed è quindi giornata festiva in quella città. Già questo indurrebbe a credere inverosimile che Paolo Borsellino, al tempo procuratore aggiunto a Palermo, potesse avere fissato per quel giorno festivo l’interrogatorio di Vaccarino presso il carcere palermitano dell’Ucciardone – ove Vaccarino era al tempo detenuto, secondo quanto dallo stesso riferito nell’intervista – impegnando così anche i difensori di Vaccarino, ufficiali di polizia giudiziaria e ausiliari del pubblico ministero. Occorre pure rilevare il periodo eccezionalmente frenetico della vita di Paolo Borsellino nel quale si sarebbero verificati i fatti raccontati da Vaccarino. Anche da questo deriva l’inverosimiglianza del contenuto dell’intervista».
E’ risaputo che Paolo scriveva tutto nella famosa agenda rossa, che però è misteriosamente scomparsa. Come si può dimostrare quello che dici?
«Mio fratello usava anche un’altra agenda, con la copertina grigia, nella quale annotava quotidianamente i propri impegni e dalla quale risulta che il 15 luglio 1992 si recò sia di mattina che nel pomeriggio negli uffici della procura della Repubblica, dove si intrattenne sicuramente con il dottor Antonio Ingroia, magistrato a lui, anche umanamente, particolarmente vicino. Dalla stessa agenda, peraltro, risulta che il 16 luglio 1992 Paolo Borsellino per l’intera giornata fu impegnato a Roma, dove interrogò presso i locali uffici della DIA il collaboratore di giustizia Gaspare Mutolo, attività che lo trattenne nella capitale fino al primo pomeriggio di venerdì 17 luglio 1992. In quel pomeriggio, dopo aver fatto ritorno da Roma a Palermo in aereo, Paolo Borsellino si recò presso il proprio ufficio al palazzo di giustizia per custodire in cassaforte i verbali delle dichiarazioni rilasciategli da Gaspare Mutolo e salutare i propri colleghi».
«Stando così le cose, non si capisce quando e in che modo Paolo Borsellino potesse avere avuto, dopo il presunto interrogatorio di Vaccarino che sarebbe stato espletato il 15 luglio, un contatto con l’avv. Frino Restivo, il quale addirittura già il 17 luglio avrebbe riferito a Vaccarino l’anomala sollecitazione rivoltagli da Paolo Borsellino e finalizzata alla scarcerazione dell’ex sindaco di Castelvetrano».
Per questo hai ritenuto opportuno presentare un esposto alla magistratura ?
«Non un semplice esposto: contro Vaccarino ho proposto formale querela, chiedendone la punizione per il delitto di diffamazione aggravata in danno di mio fratello Paolo Borsellino ed ho nominato come legale Fabio Repici, l’avvocato del foro di Messina che ha dimostrato molta abilità, tra l’altro, nel far chiarezza sull’omicidio di mafia di Graziella Campagna, mettendo a nudo anche le inadempienze e le connivenze verificatesi in ambiti istituzionali».
*Pubblicato su “L’ISOLA” e “L’ALCAMESE” di Trapani.