Bruno Contrada a Trapani: Sono innocente

TRAPANI, 19 NOV – L’aula magna dell’Istituto Leonardo da Vinci, la libera Università Tito Marrone ha organizzato un incontro con il dr. Bruno Contrada, nel corso del quale è stato presentato il suo libro, scritto assieme a Letizia Leviti “La mia prigione: Storia vera di un poliziotto a Palermo”.

L’iniziativa di dare voce a Contrada è stata una iniziativa coraggiosa perché ricordiamo che lo stesso è stato condannato a dieci anni di carcerazione per il reato di concorso esterno in associazione mafiosa.

Contrada è un vecchio signore ultraottantenne, ha scontato interamente la pena che gli è stata inflitta, continua ad affermare di sentirsi un servitore dello stato dal quale non si sente tradito, nonostante la tragedia giudiziaria che ha vissuto, dice di non serbare rancore per nessuno. Ha un unico desiderio che la verità alla fine venga a galla, è cosciente che forse non farà a tempo a vederla consacrata e riconosciuta pubblicamente, ma non si arrende, vuole che la gente sappia, anche se dopo la sua morte.

La sua vicenda umana e professionale è a dir poco kafkiana. Considerato prima per oltre trenta anni tra i più bravi investigatori in assoluto, per cui consegue una brillante carriera in Polizia e poi al SISDE, il giorno della vigilia di Natale del 1992, viene arrestato con una accusa infamante: colluso con la mafia.

Nel processo sfilano da un lato alcuni pentiti che lo accusano di essere stato connivente con Cosa Nostra e di contro più di 150 di uomini delle istituzioni, tra i quali anche 5 capi della polizia, colleghi e suoi collaboratori, che testimoniano come il suo comportamento sia stato sempre irreprensibile. Il primo pentito ad accusare Contrada è Gapare Mutolo, mafioso perseguito da Contrada e che per la sua attività investigativa ha scontato diversi anni di carcere, poi se ne accodano altri. Nel corso del dibattimento non si evidenzia una sola prova di presunti favori fatti da Contrada a mafiosi perché al vaglio dei cosiddetti riscontri obiettivi le dichiarazioni dei pentiti risultano man mano false.

Ma c’è di più, non si riesce a ipotizzare un movente che abbia indotto il funzionario a tradire il giuramento prestato al momento di prendere servizio in polizia. Viene provato che Contrada non ha ricevuto nessun beneficio economico dai mafiosi, perché tutti gli accertamenti bancari e il tenore di vita dell’imputato e della famiglia lo dimostrano, a mò di esempio l’imputato assieme alla famiglia ha vissuto sempre in una casa popolare.

Viene dato credito alle dichiarazione dei “pentiti “ piuttosto che alle testimonianze degli uomini delle istituzioni e Contrada viene condannato in primo grado, assolto in appello, sentenza annullata dalla Cassazione e condannato in via definitiva da altra sezione della stessa Corte d’appello di Palermo.

Nella sentenza di condanna siccome non è stato individuato un movente per la condotta criminosa dell’imputato i giudici scrivono testualmente: deve rilevarsi che l’accertamento delle personali causali che possono avere determinato l’odierno imputato a cambiare radicalmente la sua condotta, da servitore dello stato a dispensatore di illeciti favori e preziosi servigi alla organizzazione criminale Cosa nostra, per quanto possa apparire inquietante, da un punto di vista giuridico, non è rilevante”. Cioè a dire: non sappiamo, non abbiamo capito perché l’imputato da un giorno all’altro da poliziotto bravo e integerrimo sia diventato un paramafioso, ma questo non è importante ai fini di una condanna.

Quindi non c’è una prova provata, non c’è un movente per l’attività illecita, ma Contrada viene condannato.

Per tutto il tempo in cui ha parlato, oltre un ora, l’uditorio è stato attento, la voce di Contrada non tradisce la sua età: il tono è fermo, la sua esposizione puntuale, stupisce come riesca a non tradire nessuna emozione, non un accenno di commozione o di rancore.

Attirati forse dalla curiosità, man mano che Contrada parlava ho percepito nell’uditorio numeroso e attento progressiva simpatia nei suoi confronti, non pena né commiserazione.

Mi accorgo che l’uomo, che ho conosciuto oltre 30 anni prima, quando era stimato e autorevole dirigente della Criminalpol di Palermo, a distanza di tanto tempo e dopo vicissitudini terribili, ha conservato intatta la sua dignità e il suo carisma.

Non è un uomo che si può commiserare. Gli antichi collaboratori gli sono vicini con immutato rispetto, ho rivisto due di essi che lo avevano accompagnato a Trapani.

Il processo a Contrada non è e non può essere solo la storia di un possibile errore giudiziario.

E’ qualcosa di diverso e per certi versi più inquietante. E’ una vicenda processuale, maturata in un determinato periodo della recente storia italiana, che neanche una sentenza definitiva di condanna ha saputo o voluto chiarire.

Potrebbero interessarti anche...