CARAVA’ E L’ANTIMAFIA DI CARTONE
CAMPOBELLO DI MAZARA (TRAPANI) – «Si presentava ai giornali come il sindaco della legalità e dell’antimafia. In questa veste organizzava fiaccolate in ricordo delle vittime della mafia, presenziava a tutte le manifestazioni in ricordo della strage di Pizzolungo, e non mancava mai di far costituire il suo Comune come parte civile nei processi contro il boss di Castelvetrano Matteo Messina Denaro, ultima primula rossa di Cosa Nostra».
Se già non avessimo letto sui giornali i fatti, potremmo mettere questa etichetta su qualunque sindaco della Provincia di Trapani. Ma questa volta è toccato a quello di Campobello di Mazara, Ciro Carava’. Chissà se mai toccherà a qualche altro sindaco, molto piu’ noto e vicino.
«La settimana scorsa – prosegue l’editoriale di Giuseppe Pipitone che stiamo riportando dal mensile L’Isola dello scorso 24 dicembre 2011 – Caravà è finito in manette in un’operazione antimafia. La richiesta d’arresto è emblematica: per gli inquirenti Caravà era a totale disposizione della locale famiglia mafiosa».
«Caravà è un esempio – spiega il giovane e bravo giornalista – atroce ed emblematico al tempo stesso … in territori difficili come Trapani l’anfimafia cartonata è diventata una sorta di mantello, uno schermo per proteggere le malefatte compiute nelle segrete stanze. Per i meno pratici i soggetti come Caravà, antimafiosi di giorno e mafiosi di notte, possono essere un problema. Distraggono, sfuggono, e a volte disorientano».
«Insieme ai Caravà – chiosa Pipitone – ci sono poi i simil-Caravà: giornalisti, imprenditori, a volte anche poliziotti e magistrati. Tutta gente … che ha deciso di crearsi un presente, giocando al militante anti-mafioso e ingannando gli osservatori della vera essenza del loro operato. … Si mimetizzano bene e continuano a dettare legge per anni, additando (con un indice lunghissimo) i loro simili meno intelligenti beccati colle mani nel sacco. E a ben pensarci è mafia pure questa».
Come dargli torto?
Una volta un tal Leonardo Sciascia scrisse («I professionisti dell’antimafia» da «Il Corriere della Sera» del 10 gennaio 1987) «… l’antimafia come strumento di potere. Che può benissimo accadere anche in un sistema democratico, retorica aiutando e spirito critico mancando. E ne abbiamo qualche sintomo, qualche avvisaglia. Prendiamo, per esempio, un sindaco che per sentimento o per calcolo cominci ad esibirsi – in interviste televisive e scolastiche, in convegni, conferenze e cortei – come antimafioso: anche se dedicherà tutto il suo tempo a queste esibizioni e non ne troverà mai per occuparsi dei problemi del paese o della città che amministra (che sono tanti, in ogni paese, in ogni città: dall’acqua che manca all’immondizia che abbonda), si può considerare come in una botte di ferro. … chi mai oserà promuovere un voto di sfiducia, un’azione che lo metta in minoranza e ne provochi la sostituzione? Può darsi che, alla fine, qualcuno ci sia: ma correndo il rischio di essere marchiato come mafioso, e con lui tutti quelli che lo seguiranno».
Che forse lo scrittore siciliano avesse visto lontano?
Su queste cose ci andrei piano.
La storia ci dice che Nino Laudicna è stato arrestato, ha perso la carica di sindaco e poi dopo 10 anni assolto da ogni accusa.
La stessa cosa è accaduta con Alberto Di Marzo sindaco di Pantelleria, è stato arrestato si è fatto due anni e mezzo di carcere e dopo sette anni è stato assolto, gli è stato restituito l’onore e la carica di sindaco dai panteschi.
Non vorrei che passi quel famoso adagio” non c’è due senza tre”.
Ecco perchè molti osservatori attenti della cosa pubblica, ci vanno piano ad emettere giudizi, giusti a prima vista, ma in seguito rivelatesi del tutto sbagliati.
E poi Lenardo Sciascia su queste questioni c’entra come il cavolo a merenda.
Lui si riferiva ad altri avvenimenti e ad altri personaggi.
Comunque sappi che io ho conosciuto Sciascia e credo di poter dire che sull’antimafia militante si riferiva a personaggi politici della provincia di Palermo.
Qui non si vuole fare un processo a caravà. Non siamo Giudici e non abbiamo gli elementi di prova che hanno i PM. Qui si vuole dire che non basta darsi un “mantello di antimafiosità” per essere un buon e onesto sindaco. Un buon sindaco deve saper gestire il quotidiano e saper (e voler) costruire una nuova cultura e civiltà. Quindi le “disgrazie” di Caravà valgano a mò di monito per quei cittadini che votano il “mantello” e non i contenuti (depurati dalla propaganda di regime).