FAVIGNANA: UN CARCERE INUMANO!
FAVIGNANA – “Le condizioni di vita dei detenuti all’interno delle carceri di Favignana e Marsala sono da considerare contrarie ai diritti sanciti dall’art. 3 della Convezione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali”. A sostenerlo, in un esposto presentato il 18 maggio 2009 al Comitato Europeo per la Prevenzione della tortura con sede a Strasburgo è il sen. Salvo Fleres, garante per i diritti dei detenuti della Sicilia. Nell’esposto “a norma della Convenzione Europea per la prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti inumani o degradanti” si chiede l’urgente intervento del Comitato Europeo.
Il sen. Fleres. Dopo averlo “constatato personalmente, attraverso visite periodiche, nell’ultimo triennio”, rileva, in particolare, che nel carcere di Favignana (“un’antica fortezza edificata in gran parte sotto il livello del mare, forse anche dieci metri”) “ovunque si possono osservare muffa, umidità, intonaci scrostati, e sentire cattivo odore di salmastro e di stantio, imbattersi in topi ed insetti di ogni genere”. Per quanto riguarda le celle, invece, alcune sono “piccole e buie e si affacciano su un corridoio stretto e chiuso in alto da una copertura in plexiglass semitrasparente. L’aria non circola ed il caldo e l’umidità tolgono il respiro”.
Le altre celle, ancora peggio, sono “tutte seminterrate e senza finestre, la poca aria e la scarsa luce entrano soltanto dalla stretta porta e da un’apertura tra la porta stessa e il tetto; alcune addirittura non hanno neanche quelle feritoie e si trovano ubicate all’interno di strutture chiuse, anche in pieno giorno bisogna ricorrere alla luce artificiale”.
Prosegue il sen. Flores nella propria disamina delle condizioni del carcere di Favignana: “il locale docce è posto in un angolo del corridoio-passeggio, quindi all’esterno, ciò significa che per accedervi, in inverno, bisogna percorrere il corridoio sotto la pioggia, al freddo, affondando i piedi nelle pozzanghere di acqua gelata. Ciò comporta altresì che quando piove, durante la distribuzione del vitto, l’acqua piovana finisce dentro i piatti, unitamente a polvere e detriti, quando spira il forte vento isolano”.
“Le attività lavorative cui sono adibiti internati e detenuti consistono per lo più in mansioni di pulizia e servizi interni all’Istituto, con una paga media mensile tra i 100 e i 200 euro, peraltro mai corrisposta puntualmente: passano anche tre mesi prima che l’internato percepisca quanto dovuto per il lavoro effettuato”.
“Tantissimi versano nell’indigenza più assoluta e pur avendo lavorato rimangono senza i fondi per poter acquistare una bottiglia d’acqua o effettuare una telefonata alla famiglia. Essendo queste le condizioni, non si può certo dire che esista un programma di rieducazione al lavoro”.
Nel carcere di Favignana, precisa ancora Fleres, “la popolazione carceraria che, da una rilevazione recente risulta così distribuita: n. 40 internati + n. 94 detenuti, per un totale di 134 presenze, rispetto ad una capienza massima tollerabile di 100”.
Un ultimo aspetto negativo è segnalato dal denunciate: “Nel carcere di Favignana internati e detenuti, passeggiano, lavorano, condividono gli spazi comuni con condannati alla pena dell’ergastolo e per distinguere chi tra loro sia l’internato e l’ergastolano c’è un solo modo: chiederglielo”.
“La differenza che continua a non vedersi, invece, – conclude Fleres nell’esposto – è che l’ergastolano è in carcere perché è ritenuto colpevole di un reato e quindi condannato e in espiazione di una pena, l’internato è in carcere, ma non ha nessuna pena da scontare e in carcere non dovrebbe proprio esserci”.