Romanzo: La signora Rosetta
Trapani, 10 settembre – “La signora Rosetta”, sottotitolo “ovvero la felicità provvisoria” è la prima opera di Tiziana Sferruggia, una ragazza d’origine mazarese ma da diversi anni trapiantata a Marsala. Tiziana e “Rosetta” li abbiamo scoperti per caso, grazie ad un annuncio pubblicato sul social network Facebook; la curiosità ci ha portato a prima a scorrere qualche recensione in rete e, poi, all’affannosa ricerca del romanzo nelle librerie trapanesi.
La lettura delle 135 pagine del lavoro di Tiziana è agevole e veloce. Da subito ti attanaglia la curiosità di scoprire cosa succede dopo. Ogni capitolo, infatti, è ricco di gustosi “quadretti” e di “colpi di scena”. L’inizio sembra qualcosa a metà fra un poliziesco del genere CSI, un film brillante e una storia “d’amore”. Ti senti subito “preso”, coinvolto, non ti sembra di leggere un libro nel tuo comodo divano, ma ti senti “dentro” alla storia, come se tu fossi proprio sul luogo dove si svolgono le scene, magari messo lì, nell’angolo, un po in disparte per non disturbare.
Non è strano o immeritato, quindi, che Tiziana, per quest’opera, sia stata recentemente premiata con una “segnalazione” alla ventiseiesima edizione del “Premio Calvino”.
Non è un romanzo stupido, leggero. E’ una storia che, anche in quei momenti dove è più grottesco o ti fa ridere – o piangere – di più, ti vuole dire e ti dice qualcosa, ti fa pensare.
Il romanzo noi lo dividiamo in tre parti.
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Il primo capitolo (“Giovinezza”), bellissimo e estremamente significativo, dove disegna perfettamente il modo di ragionare del mondo dove vive “Rosetta”, insomma del siciliano, quello che pensa, insomma, che “chi lascia la via vecchia per la nuova, sa quello che lascia ma non sa cosa trova”. Disegna deliziosamente anche la figura di “Don Vito”, il parroco, un parroco diverso, “a suo modo rivoluzionario”, che, come ogni parroco “dovrebbe dare certezze, essere rassicurante”, ed invece “induceva a cambiare, a mettersi in gioco, lottare”.
La seconda parte è, come si diceva, un susseguirsi di gustose scenette della vita di “Rosetta”, la figlia del fioraio, che era “nata povera, ma che odiò visceralmente la povertà”, con la storia della sua voglia di riscatto da raggiungere grazie “a un buon matrimonio salvifico”, la storia di una donna che “si sarebbe riscattata – nelle proprie intenzioni – con i figli”.
[Tweet “Chi non si riconosce nella “Rosetta” del romanzo di Tiziana Sferruggia?”]
L’ultima parte, più mesta, la fine della storia, non è quella che ci si aspetta, quella che si vuole per quel personaggio che, alla fine, abbiamo imparato – pagina dopo pagina – a volere bene.
L’epilogo? Tiziana Sferruggia ce lo rima: “ … sentirsi stonata, come mosca a un banchetto, o come farfalla frivola, che maldestra scivola su periferico sterco”.
“La signora Rosetta”, un romanzo da leggere; Tiziana Sferruggia, una “trapanese” che da gloria ai propri concittadini non per una palla di gomma gettata in un sacco, ma per l’intelligenza, per la propria creatività e le proprie eccellenti capacità espositive.