La Sicilia non è un paese per giovani
In Sicilia con i tassi di disoccupazione giovanile prossimi al 50%, e la speranza di un’inversione di tendenza sempre più lontana, si sta assistendo a un silenzioso esodo di massa.
Fuggono i giovani di tutte le classi sociali. Emigrano nel Nord Italia, nel Nord Europa, nel Nord del mondo, per trovare un lavoro che al Sud non esiste o viene distrutto.
Si assiste all’emigrazione preventiva: fuggono i giovani diplomati in direzione di atenei che garantiscano migliori prospettive.
E se per Marinetti la guerra era “l’igiene del mondo”, per una Sicilia sempre più prossima alla disperazione, la fuga è il rimedio maledetto e distruttivo a una società che non riesce a fornire orizzonti di speranza ai suoi ragazzi.
Immersi in un medioevo delle professioni, spesso tramandate di padre in figlio, con la dissoluzione del tessuto connettivo delle piccole attività imprenditoriali, nell’assenza di grandi aziende, con il fallimento di ogni ruolo della mano pubblica, con i costi in ascesa del denaro alle imprese, (più quattro o cinque per cento rispetto al Nord) la Sicilia cammina sull’orlo di un burrone con gambe malferme e nessuna idea che possa restituire a una comunità stremata la fiducia smarrita.
Le nostre università primeggiano negli strati bassi delle classifiche, la nostra sanità ha gli indici più alti per mortalità post operatoria, abbondiamo in uso e abuso di farmaci, abbiamo l’alta burocrazia pubblica e la classe politica più pagata, l’esercito di precari più numeroso, di tutto il Continente europeo.
I giapponesi nel 1870 uscirono dalla loro chiusura secolare prendendo il meglio delle istituzioni occidentali, i loro studenti furono spediti all’estero, a migliaia, per apprendere i segreti della superiorità europea.
In Sicilia i fondi delle borse per consentire di studiare all’estero sono scomparsi e si giganteggia nell’imitare il meglio dei privilegi delle caste più voraci.
Invece di immaginare un rapido cammino per spezzare le catene che imprigionano un popolo ci si contende le chiavi di quelle catene.
Immense risorse sono imprigionate in politiche parassitarie, mentre molte città siciliane affogano nell’immondizia tra turisti disgustati e residenti furiosi.
E mentre l’est europeo ha compiuto in venti anni la sua rivoluzione e la Cina in tre decenni ha trasformato un’economia contadina in una grande potenza industriale, la Sicilia annuncia cambiamenti storici che non arrivano, invoca l’arrivo di guerrieri che mai giungono, e il tempo inesorabile consuma e disperde anche i sogni migliori.