Marascia: Una rivoluzione culturale contro la mercificazione e il capitalismo
«Il mio interesse politico nasce dalla volontà di mettere a nudo certe verità fin’ora insabbiate e che sono inerenti al meccanismo che sorregge il sistema finanziario italiano che è un furto nei confronti dei cittadini». Giuseppe Marascia, candidato a sindaco di Trapani con il movimento “Città a misura d’uomo”, muove un attacco al capitalismo e alla mercificazione delle risorse umane e materiali attraverso quella che egli definisce «rivoluzione culturale».
Perché Natale Salvo ha definito il vostro progetto «neo-umanista», richiamando l’uomo Vitruviano di Leonardo, simbolo del vostro movimento?
«Per superare la grande crisi non basta il binario economico, serve innanzitutto la costruzione di una cultura diffusa che non sia di impronta commerciale. Attualmente il valore di un uomo si misura in denaro. Il Comune dovrebbe farsi promotore di un’azione educativa per far si che la vita dei cittadini abbia maggiore qualità, intesa in termini di valore umano e non soltanto economico. Noi puntiamo sulla funzione educativa di una nuova cultura che spinga la società ad adottare uno stile di vita meno consumistico, che guardi più all’essere che all’avere».
Il vostro programma mira alla realizzazione di «servizi accessori all’istruzione che diano un plus di valore alle attività scolastiche» e di «spazi antropologici di incontro, che siano innanzitutto costruzioni identitarie». Non crede che interventi, come la messa in sicurezza di molte strutture scolastiche, abbiano un’urgenza maggiore?
«È inutile raccontare chiacchiere su cose impossibili da realizzare. Gli interventi di manutenzione sono assolutamente necessari, ma il bilancio economico non consente nessun intervento. Questo vale tanto per le scuole, quanto per le reti idrica e fognaria. La linea guida del nostro programma è che la situazione di subordinazione del nostro paese è tale da costringere a certe scelte. Ma la colpa non è dei dirigenti, la vera natura del problema è di matrice economica. Le amministrazioni non possono effettuate interventi strutturali necessari finché non si crea uno spiraglio in seno alla legge di stabilità che, traslata dall’asse Stato – Europa, all’asse Comune – Europa, ha concesso ai comuni una finta autonomia ponendoli in una situazione di sudditanza. Per recuperare un’autonomia che non abbiamo più bisogna capire che i vincoli di bilancio sono vincoli alla sovranità del paese».
Uscire dall’Europa potrebbe essere una soluzione?
«Recuperare l’autonomia non significa uscire dall’Europa, ma dal mercato europeo. Che essa possa essere una casa comune dove creare la pace è un’idea sacrosanta, purtroppo disattesa: l’Europa è un sistema economico che, per essere concorrenziali, ci costringe a svalutare il nostro lavoro e i nostri salari».
Quali i cambiamenti del quadro politico dopo il 4 dicembre? Quale peso assumono oggi le liste civiche?
«I partiti hanno rimediato in liste civiche costruite ad hoc per sopperire alla totale sfiducia dei cittadini nei confronti dell’assetto partitico sortita dal referendum. Le liste civiche vanno valutate facendo un distinguo tra quelle che orbitano attorno ad una figura forte e quelle che invece nascono dall’esigenza di aggregare più persone per cercare soluzioni».
Che spazio riservate al dialogo con altre forze politiche in gioco?
«Un amplissimo dialogo. Non eliminiamo soluzioni di compromesso: nell’associazione esistono ampi cromatismi politici. La stessa nostra presenza alle amministrative è indice di quella partecipazione democratica utile per crescere e per dialogare con chiunque».
La sua attenzione all’aspetto culturale ed educativo non si discosta molto dal programma proposto da Savona. Crede possibile una condivisione d’intenti col PD?
«Io personalmente potrei avere qualche difficoltà a collaborare con un partito che applica un’ipocrisia di fondo: pur essendo di sinistra, piuttosto che tutelare i diritti dei lavoratori, il PD segue una politica capitalistica e mercantilistica, salvo poi chiedere il voto ai cittadini che vogliono una politica opposta a quella propostagli. Questa incoerenza mi fa pensare che il dialogo col PD sia molto difficile da realizzare. Ma ripeto, è una posizione mia».
Quali potrebbero essere a suo avviso validi avversari politici?
«Savona offre prospettive limitate rispetto alle potenzialità della città (i problemi non si risolvono se non si risale alla loro matrice economica). Le assicuro che Damiano non ha nessuna intenzione di ricandidarsi. Tutti gli altri sono in gioco da vent’anni. Non è una critica, ma fin’ora non hanno capito quale sia il vero problema, continuando a proporre la medesima linea politica. Noi invece, che siamo una leva giovane, proponiamo una rivoluzione culturale».
«Non sono il soggetto per cui tifare. Occorre vedere tutto il programma che è a vocazione sociale». Come motiva la sua affermazione?
«Qual è la ratio di una fede incondizionata? Tifare per D’Alì o per Savona è come tifare per la Juve o per l’Inter, ossia per le squadre che hanno più prospettive di vincere il campionato. Se il tifo è la tendenza a salire sul carro del vincitore, io non voglio che i cittadini tifino per me, ma che, piuttosto, votino secondo il loro personale interesse. La rivoluzione la si fa insieme, non la faccio da solo. Questo è il mio invito alla ricostruzione del tessuto sociale».