Marzo Rizzo (PC): l’unità dei Comunisti contro il Capitale
«L’unità dei comunisti è una strategia che perseguiremo con coerenza e determinazione». Lo ha dichiarato e scritto, lo scorso settembre, il «Partito Comunista» sul proprio sito web.
Si tratta di una strategia che è insita sin dalla nascita in questo Partito, fondato nel 2009 e guidato sin dall’inizio dall’ex eurodeputato comunista Marco Rizzo all’indomani della sua espulsione dal Partito dei Comunisti Italiani conseguente a una lunga diatriba politica coll’allora segretario nazionale Oliviero Di Liberto.
Già a giugno scorso, ad esempio, ancora sul proprio sito web, il «Partito Comunista» scriveva: «il Partito Comunista registra con soddisfazione l’interesse sviluppato nel dibattito sulla questione dell’unità comunista».
Però Marco Rizzo tiene pure a spiegare che «parlare di antiliberismo non è sinonimo di anticapitalismo, ma indica diverse visioni interne alle logiche del capitalismo. Quindi unità dei comunisti e unità della sinistra [quella che sta si costituisce fra Sinistra Italiana, MDP e Possibile, vedi] non sono sinonimi, e non sono neanche processi che possano marciare insieme».
In sostanza, il comunista Rizzo pone dei «paletti» all’Unità: «Il presupposto politico per predisporre immediatamente un tavolo di discussione che faccia avanzare concretamente l’unità comunista, è la dichiarazione inequivocabile degli interlocutori interessati a questo processo, che escluda da qui in avanti e a ogni livello, locale e nazionale, la ricerca di alleanze unitarie con forze di sinistra e centrosinistra. Non si tratta di una semplice questione elettorale, ma di un preciso punto strategico».
Ovvero, porte chiuse agli «opportunisti di destra che fanno parte del PSE hanno abbandonato addirittura qualsiasi annacquata prospettiva di superamento del capitalismo».
Rizzo si riferisce chiaramente a Rifondazione Comunista, tra gli altri.
Questi “opportunisti di destra” sono – secondo sempre Marzo Rizzo, per come scrive già nel 2015 sul sito web – oramai «Assimilati dal sistema, privi di autonomia teorica e di progetti di trasformazione radicale, si limitano a proporre riforme, limitate quanto utopiche, che di fatto propongono miglioramenti gestionali del sistema esistente. In sostanza, curare i sintomi, non la malattia: un impossibile “capitalismo dal volto umano” con qualche “antidolorifico” per lenirne l’asserita “disumanità”. La tattica, ovviamente rigorosamente parlamentaristica, non può che passare attraverso la partecipazione, di larga minoranza, ai governi borghesi e alle coalizioni elettorali genericamente “di sinistra”».
Ha parlato netto e chiaro. Ci sarà questa volta, alle Politiche 2018, la “Unità dei Comunisti” o, ancora una volta, andranno sparpagliati, certi però di conseguenza, per meri personalismi, di non trovare alcuno spazio in Parlamento?
Ma la domanda più larga è: il Comunismo è morto, in Italia?