QUANDO IL PALLONE … DISEDUCA


«Ricevo la palla da Adragna, che è un terzino, scarto tre giocatori e colpisco di collo pieno, dal limite. Faccio il gol all’incrocio dei pali e vinciamo sul Calatafimi per tre a due: Eravamo primi in classifica!»
– così raccontava, Maurizio Di Bella, con orgoglio, una sua realizzazione al cronista che lo intervistava. Era il 20 marzo del 1994. Maurizio Di Bella aveva 13 anni ed era il centrattacco della Fiammaolympia, una delle diverse piccole formazioni di calcio di Trapani. Il presidente e l’allenatore di questa squadra ero io.

Conservo ancora il ritaglio di questo articolo (“Divieto a un tredicenne: il calcio lo diseduca”), e ora lo rileggo, mentre sulla scrivania ho la copia del Giornale di Sicilia del 24 novembre scorso col terribile titolo «Assaltavano le tabaccherie: catturati due rapinatori».

Sotto due foto segnaletiche, una è proprio quella di Maurizio. Rino Giacalone definisce Maurizio e il suo complice (La Sicilia, sempre 24 novembre) come «mani criminali ben esperte». E’ vero, Maurizio, ha avuto, negli ultimi anni, altri problemi colla Giustizia, ma mai così gravi.

Mi si chiude il cuore, ritorno a leggere l’articolo del 20 marzo 1994 de La Sicilia, a firma di Fabio Tartamella. Il cronista descrive il mio Maurizio: «è un soldo di cacio, ha un torace possente come la testa di uno spillo, però corre lesto e gli avversari lo strattonano per la maglietta di vivido colore arancio». Ma Maurizio non era salito agli onori di cronaca per il suo gol, ma perché, ad un certo punto, padre Paolo Bonventre e gli educatori di Villa Bethania, l’istituto di recupero che già allora frequentava, gli avevano vietato il calcio. La vicenda era entrata nel cuore di Mariza D’Anna e Paolo Tartamella che, per La Sicilia, gli dedicarono una serie di articoli.

«Maurizio – spiegava Tartamella –  è discolo, non studia, marina la scuola, squinterna i quaderni e resta ore ed ore sotto i portici delle case popolari di Villa Rosina a calciare il pallone».

«Maurizio non ha riferimenti o educatori – puntualizza padre Paolo Bonventre il rettore di Villa Bethania -, rifiuta qualsiasi autorità: a casa, a scuola, qui all’Istituto, e quando iniziò a giocare a calcio finì col distrarsi del tutto e divenne ancora più irrequieto. Lui è un bambino difficile e anche in squadra non ha trovato modelli di riferimento. La nostra equipe ha consigliato al padre di non farlo più giocare. L’alternativa era perderlo, rinunciare a educarlo».

Paolo Tartamella continuava l’articolo con una propria riflessione: «Probabilmente Maurizio ha invece i diritti ed i desideri della sua età e la tolleranza sembra l’unico ingrediente estraneo a questa storia. Andrebbe aiutato dandogli fiducia, incanalando la sua creatività: forse accade l’opposto».

Apro La Sicilia del 26 novembre e leggo che Maurizio ha ammesso le proprie responsabilità. Il cronista, con sarcasmo, aggiunge «quasi per alleggerire la sua posizione ha detto che il denaro in cassa veniva chiesto col gentilezza, poco importava se questo garbo veniva esternato da chi indossava passamontagna ed im-pugnava una pistola».

Penso a Maurizio, che avevo incontrato sotto i portici delle case popolari di Villa Rosina pochi giorni prima la rapina. Penso a tutti quei ragazzi di quel quartiere che ho cercato, col mio volontariato, di far uscire dal ghetto. Vedo la mia sconfitta, nella partita più importante.

Ripongo il vecchio ritaglio del ’94, ma prima leggo l’ultimo rigo «E allora addio Maurizio, non ti resta che piegarti al mondo dei grandi, il pallone, ahinoi, non è più un gioco».

Potrebbero interessarti anche...