RAPPORTO ECOMAFIA 2005

Uscito il rapporto sulle Ecomafie. Anche Trapani, naturalmente non è immune da questo nuovo tipo di Business: la mafia non uccide solo le persone, anzi lo fa sempre meno, ma stritola l'economia e le potenzialità di sviluppo di un territorio.

Liberarsi della mafia vuol dire crescere. 

Il “pizzino” di cui abbiamo pubblicato la foto dimostra, qualora ce ne fosse stato bisogno, l’interesse diretto di Cosa nostra, ai suoi massimi livelli, per la gestione del business dei rifiuti. Non a caso, l’allora procuratore capo di Palermo, Pietro Grasso, oggi procuratore nazionale antimafia, sintetizzava così, davanti ai parlamentari della Commissione d’inchiesta sul ciclo dei rifiuti, lo “stato dell’arte” in Sicilia: «Il tradizionale controllo del territorio esercitato dalle organizzazioni mafiose, con la disponibilità di cave, terreni, manodopera a bassissimo costo e il ricorso alla violenza dissuasiva, ha permesso ai sodalizi criminali di imporsi come unico interlocutore imprenditoriale capace di gestire, in regime di monopolio, gran parte della attività proprie del ciclo dei rifiuti».

Vengono proprio da questa “filiera” dell’ecomafia e della criminalità ambientale in senso più ampio le notizie più preoccupanti raccolte ed analizzate da Legambiente nel Rapporto Ecomafia 2006. L’impressione, e forse qualcosa di più, è quella di un passaggio dalla tradizionale prevalenza dei fenomeni di traffico e smaltimento illegale nelle regioni del Mezzogiorno (in particolare quelle a tradizionale presenza mafiosa) ad un vero e proprio “sistema nazionale illecito” di gestione dei rifiuti. Un sistema formato da veri e propri network d’imprese criminali, che mettono radici in regioni a lungo scarsamente interessate da questi fenomeni d’illegalità (come il Friuli Venezia Giulia e il Trentino Alto Adige) e gestiscono rotte che attraversano il Paese sostanzialmente in tutte le direzioni, adeguandole a seconda delle esigenze e delle opportunità.

Certo, non mancano i risultati positivi, ottenuti grazie all’azione di contrasto avviate dalle forze dell’ordine e dalla magistratura dopo l’entrata in vigore dell’art. 53 bis del decreto Ronchi, quello che sanziona l’organizzazione di traffici illeciti di rifiuti.

E conforta apprendere che diversi imprenditori della cosiddetta “zona grigia” non siano più tentati dall’affare “facile”, considerati i seri rischi che si corrono oggi dal punto di vista penale (defezioni che, per inciso, confermano la funzione anche di carattere preventivo di sanzioni adeguate alla gravità dei reati commessi).

Ma sono, come sempre, i numeri a sostanziare le valutazioni espresse finora:

– sono state 4.797 le infrazioni nel ciclo dei rifiuti accertate dalle Forze dell’ordine durante il 2005, con un incremento del 16,5% rispetto al 2004; cresce il numero dei sequestri (1.906, oltre 200 in più rispetto al precedente Rapporto Ecomafia); quest’anno, infine, è possibile fornire anche il dato relativo alle persone denunciate o arrestate: sono state 5.221, ovvero oltre 14 al giorno;

– la regione in cui si concentra il maggior numero di illeciti è la Puglia (597 infrazioni, pari al 12,4% del totale nazionale), seguita dalla Campania (514 infrazioni, 10,8%) e dal Veneto (389 infrazioni, 8,1% del totale), che con questo risultato sale dal sesto al terzo posto di questa classifica; rimane, infine, stabile al quarto posto la Sicilia (340 illeciti pari al 7,1% del totale nazionale);

– negli ultimi 12 mesi, più precisamente dal 31 maggio 2005 ad oggi, sono state arrestate per traffico illecito di rifiuti 180 persone, ne sono state denunciate complessivamente 533 e sono state 125 le aziende coinvolte;

numeri che fanno salire il bilancio complessivo dell’applicazione dell’art. 53 bis del decreto Ronchi a ben 401 persone arrestate negli ultimi 4 anni, 1.272 persone denunciate, 338 aziende sotto inchiesta;

– cresce ancora la quantità di rifiuti speciali (pericolosi e non compresi gli inerti da demolizione) di cui viene stimata la produzione ma non se ne conosce, formalmente, il destino: si tratta di 18,8 milioni di tonnellate di rifiuti scomparsi, equivalenti a una montagna con una base di tre ettari e

un’altezza di 1.880 metri.

Anche nella classifica regionale sulle illegalità ambientali, accertate nel corso del 2005 dalle Forze dell’Ordine in Sicilia, troviamo ai primi posti proprio quelle province siciliane il cui territorio ha una tradizionale presenza della criminalità organizzata. Al primo posto ritroviamo la provincia di Palermo con 411 infrazioni accertate e 196 persone denunciate che hanno portato ad un totale di 114 sequestri. Al secondo posto la provincia di Agrigento seguita da Messina e Catania. All’ultimo posto la provincia di Enna con 47 violazioni e 18 persone deferite all’Autorità giudiziaria.

Trapani si trova al sesto posto con 68 infrazioni accertate 147 persone denunciate e 45 sequestri effettuali.

Per chi non lo sapesse il ciclo del cemento a Trapani era in mano ai clan Agape e Virga, mentre quello dei rifiuti è in mano allo stesso Virga e al Clan dei Corleonesi.

L’obiettivo di questo sistema di potere è il controllo di ingenti risorse finanziarie. La criminalità organizzata, come un’impresa, segue le regole della competizione e del mercato, soddisfa le richieste dei propri clienti e cerca di adattarsi ai cambiamenti della società, dimostrando un’elasticità da fare invidia a molti imprenditori.

Ed è così che i “nuovi padrini” in giacca e cravatta, dal controllo esterno delle imprese iniziano a inserirsi direttamente nel mercato mediante prestanomi. Ciò si desume anche dall’analisi del Ministero dell’Interno nel Rapporto sulla Sicurezza in Italia del 2005, per il quale “Cosa Nostra dopo aver strategicamente polverizzato i patrimoni accumulati illegalmente, ha avviato attività societarie e commerciali, in particolar modo nel settore dell’edilizia, avvalendosi di professionisti non organici all’organizzazione stessa”.

La voglia d’impresa di Cosa Nostra, emerge chiaramente dalle dichiarazioni dal collaboratore di giustizia Francesco Campanella. Il presunto boss Nicolò Mandalà gli aveva spiegato la nuova “linea d’azione” voluta dal capo di Cosa Nostra: “piuttosto che dare appalti a terzi, ci dobbiamo organizzare per gestire direttamente con le nostre imprese (…) perché la linea è di fare impresa e quindi di diventare meno evidenti dal punto di vista criminale”.

Analisi che coincide con quella fatta dal Procuratore nazionale Antimafia, Piero Grasso davanti alla Commissione Parlamentare d’inchiesta sulla criminalità organizza, “l’imprenditore – ha affermato Grasso – rappresenta l’anello di collegamento tra il finanziamento pubblico da un lato e la possibilità per la mafia di ottenere un beneficio economico dall’altro”.

E naturalmente neanche a Trapani la strategia cambia. A denunciare l’infiltrazione della mafia nel tessuto economico trapanese attraverso la gestione di società legali è il segretario provinciale degli edili della Cgil, Giovanni Burgarella: “La mafia non ha più bisogno d’intervenire sugli appalti. Non ha più bisogno di prendere contatti con i politici e con gli amministratori per avere la quota che le spetta. Ora entra nei cantieri e ha le sue imprese nate in odor di mafia”.

Il sindacalista proseguendo nella sua denuncia ha affermato, che spesso si tratta di “imprese colpite dalla mafia, affogate nel pizzo e nelle estorsioni e poi incamerate come pegno per i pagamenti non riscossi”.

Il dato che emerge – conclude Burgarella – è che “la mafia sta penetrando nei settori vitali dell’economia, utilizzando aziende ed iniziative imprenditoriali legali per nascondersi meglio e favorire il riciclaggio di denaro sporco”.

È la filosofia di una mafia imprenditrice, predicata in questi ultimi anni da Provenzano, il contadino divenuto “manager” della nuova Cosa Nostra, che ha trasformato la criminalità organizzata siciliana, rafforzandola e indirizzandone gli interessi verso attività economiche e imprenditoriali meno rischiose, come il ciclo del cemento in cui tuttora vige un regime quasi monopolistico che impedisce la libertà d’impresa.

Proprio al ciclo del cemento, l’ultimo Rapporto sulla Sicurezza in Italia dedica una parte consistente dell’analisi, precisando che questo settore “rappresenta per la criminalità organizzata un interesse di tipo strategico e il mezzo per imporre tangenti ed estorsioni che, unite ad un’illecita gestione delle procedure degli appalti, determina un sistema eversivo di contropotere capillare e insidioso in grado di condizionare e gestire il mondo del lavoro e rilevanti settori economico – amministrativi”. Naturalmente gli effetti di tale sistema, li ritroviamo sul territorio sotto forma di scempi, denunciati non soltanto dalle associazioni ambientaliste ma anche dagli analisti del Ministero, i quali avvertono: “L’impatto ambientale che ne deriva è devastante per ampie aree, investite da un abusivismo edilizio imponente e indiscriminato”.

Quella descritta è una mafia che si insinua nel tessuto economico imprenditoriale per conquistare e condizionare il mercato e cercare di intercettare l’enorme flusso di denaro proveniente dai finanziamenti dell’Unione Europea.

Un compito che richiede competenze specifiche e dalle indagini è emerso che quest’incarichi di responsabilità vengono “affidati a uomini d’onore dotati di cultura multi-disciplinare, professionisti preparati – scrive la Direzione investigativa antimafia nella Relazione del primo semestre 2005”.

È la cosiddetta “zona grigia” della criminalità organizzata che rappresenta la vera forza di Cosa nostra. Un vero e proprio staff tecnico definito dal Presidente della Corte di Appello di Palermo, Carlo Rotolo, nella Relazione d’inaugurazione dell’anno giudiziario, come “individui e/o gruppi che vivono nella legalità e forniscono un fondamentale supporto di consulenza per questioni legali, investimenti, occultamento di fondi, e capacità di manovrare l'immenso potenziale economico dell'organizzazione criminale”.

Le indagini recenti hanno ridisegnato la geografia criminale, un fenomeno non più limitato alla Sicilia ma operativo anche in altre regioni d'Italia come la Lombardia, il Veneto, la Toscana. “Ci sono investimenti e secondo un fenomeno abbastanza strano – dichiara Piero Grasso – scambi con imprese siciliane che ottengono appalti in queste regioni e imprese di queste regioni che li ottengono in Sicilia. Sembra quasi che tutto venga coordinato e/o diretto da una sola mente”.

In questo contesto si delinea un altro fenomeno, quello delle grandi imprese del Nord che si aggiudicano gli appalti nel Sud, per poi cederli in subappalti a realtà locali.

Molte informazioni interessanti sulla capacità di infiltrarsi negli appalti di Cosa nostra sono emerse, anche, dall’operazione “Progetto Mafia Appalti Trapani”, del 24 novembre scorso. Qui la polizia ha eseguito 6 ordinanze di custodia cautelare nei confronti di imprenditori edili ritenuti responsabili di associazione mafiosa ed estorsione plurima.

Grazie alle intercettazioni, gli investigatori della Polizia di Stato di Trapani hanno ascoltato vari summit di mafia tra un ristretto gruppo di “uomini d'onore” che, attraverso l'infiltrazione occulta nel sistema imprenditoriale e in quello amministrativo locale, controllavano e davano direttive per la manipolazione e il condizionamento di appalti pubblici.

Dalle indagini emerge, inoltre, l’interesse di Cosa Nostra a riappropriarsi dei beni confiscati e conferma l’efficacia di tale strumento di contrasto. I nuovi boss in giacca e cravatta avrebbero tentato di riappropriarsi della “Calcestruzzi Ericina”, l’impresa confiscata al capomafia Vincenzo Virga, provando in un primo tempo a boicottarne la gestione giudiziaria mediante l’imposizione alle imprese edili della zona di “non acquistare il calcestruzzo dallo Stato”. Successivamente con la complicità di un funzionario del demanio, anch’egli indagato, hanno tentato la liquidazione e la vendita ad un imprenditore del settore indicato dai boss.

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