Salvo: Voglio sapere se sono colpevole o innocente

Voglio sapere se sono colpevole o innocente. Se con i “post” pubblicati 5 anni fa, nel 2010, sul mio blog, ho danneggiato veramente l’immagine del Comune di Erice, o semplicemente espresso una mia legittima opinione sulla maniera, a mio avviso criticabile, di amministrare quel Comune, e se in questo Paese chiamato Italia si possono esprimere ancora le libere opinioni.

Voglio sapere se il sindaco di Erice pro tempore Giacomo Tranchida, colla sua richiesta di risarcimento da 200 mila euro, presentata il 18 marzo del 2011, è riuscito a togliere la casa ai miei figli e sbattere in mezzo alla strada un bambino di 12 anni ed una bambina di 7.

Una richiesta stratosferica; che – assieme alla scelta di preferire il procedimento civile a quello penale – si presta ad essere letta come mezzo di lotta “politica”, piuttosto che come richiesta di Giustizia. Una richiesta che si presta ad essere letta come mezzo per “spegnere” gli avversari politici, ricondurli a più “miti consigli”, al silenzio, piuttosto che per tutelare realmente l’immagine della Città.

Voglio sapere se la Giustizia, a Trapani, riesce a leggere tutto questo; se saprà rifuggire dall’essere usata strumentalmente.

Giustizia Popolo

Giustizia Popolo

Voglio sapere se, in Italia, ma in specie al Tribunale di Trapani, c’è una Giustizia per i potenti ed una per i Comuni cittadini.

Se c’è una Giustizia che permette, proprio al sindaco Giacomo Tranchida, di rivolgersi in maniera sicuramente scomposta, fors’anche prepotente, nei confronti di un cittadino-contribuente, Francesco Borghi, giudicando le sue contumelie come legittima espressione di una opinione politica ed un’altra Giustizia, invece, che non consente ad un cittadino-contribuente di giudicare e criticare le scelte amministrativo-politiche dello stesso sindaco Giacomo Tranchida.

E voglio sapere tutto questo ora!

E’ un mio diritto. Lo sostiene la Legge, lo prevede il Codice di Procedura Civile, all’articolo 281-quienques.

La-legge-è-uguale-per-tuttiC’è scritto che ho Diritto ad una sentenza entro 30 giorni dalla conclusione del Procedimento. E di giorni, invece, dallo scorso 10 marzo, ne sono passati già 91.

Ogni mattina conto i giorni, ogni mattina apro l’app “Giustizia Civile” sul mio smartphone e cerco … e leggo che il fascicolo è sempre “In attesa deposito provvedimenti”.

Mio figlio Francesco, quello di 12 anni, mi chiede: “Papà, ci tolgono vero la casa?”.

Io gli rispondo: “Non lo so”. Lui mi domanda: “E quando si sa?”. Io gli rispondo: “Non lo so”.

C’è una Legge. Ma i termini di 30 giorni – mi spiegano – sono “ordinatori”. Non c’è sanzione, insomma, se non vengono rispettati. Il ritardo nello scrivere e depositare la sentenza non è impugnabile.

Io aspetto sempre, ma sono stanco di aspettare.

Ho fiducia, ancora. Ma voglio Giustizia. La voglio nei tempi e, soprattutto, è ovvio, nel merito.

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