Scandalo corruzione a Erice: Catalano condannato o no? Colpevole o no?
Ieri sera tardi eravamo andati a nanna con la notizia che aveva “patteggiato” una condanna ad un anno e nove mesi di reclusione per «corruzione ed abuso d’ufficio», secondo quanto titolava TrapaniSi . Il soggetto in argomento è Angelo Catalano, già assessore e uomo di fiducia di Giacomo Tranchida, prima e vice sindaco di Daniela Toscano, dopo.
Stamattina sul presto, ancora sonnecchiosi sorseggiando il caffè mentre scorriamo i titoli dei giornali, malgrado le palpebre pesanti, apprendendiamo:
- che Angelo Catalano è innocente;
- che un giudice, il GIP, Caterina Brignone «fu molto severa» (copyright Laura Spanò sul Giornale di Sicilia del 25 settembre), forse troppo, nello scrivere il testo dell’ordinanza di arresto di Angelo Catalano avvenuto il 1 febbraio 2019;
- che un altro giudice, il GUP, Emanuele Cersosino, avrebbe addirittura «impedito all’imputato di ottenere processo ordinario» (copyright TrapaniSi, su un articolo scritto da Ornella Fulco).
In verità la giudice Brignone, descrisse Angelo Catalano come «soggetto abituato al potere ed a servirsi del proprio ruolo per la realizzazione di interessi privati propri o di terzi, calpestando la legge, non temendo verifiche e controlli, ricorrendo anche all’inganno e mettendo in secondo piano il pubblico interesse». Evidenziò, ancora, per giustificare l’esigenza di trarlo in arresto, la «spregiudicatezza e l’opacità dell’operato del politico» quali «elementi sintomatici della pericolosità sociale di questi».
I lettori saranno basiti o confusi od anche interdetti ? È colpevole, innocente, vittima o capro espiatorio ?
Siamo piombati in pieno 1984 di Orwell
Ma si troverà ancora più interdetto il lettore più attento che avrà notato che TeleSud e TP24 hanno sensibilmente cambiato i titoli degli articoli pubblicati, appena che ieri, non 35 anni fa.
Ieri:
- Telesud annunciava così la notizia: “L’ex vice sindaco di Erice, Angelo Catalano, condannato ad un anno e nove mesi”;
- Tp24.it aveva fatto eco poco dopo: “Corruzione ad Erice: Catalano condannato: 1 anno e 9 mesi”.
Stamani, in stile “1984” (invito, a chi non lo conosce, a leggere il libro di George Orwell), i titoli sono stati ritoccati da una “manina”:
- Su TP24.it è sparito il brutto termine “condannato”;
- Telesud, ha cambiato in “Un anno e nove mesi: applicazione di pena concordata per l’ex vice sindaco di Erice, Angelo Catalano”. Concordato al posto di “condannato“, è solo un termine tecnico, suvvia !
L’unico che insiste, coerente, a scrivere che Angelo Catalano è stato condannato è Rino Giacalone su Alqamah, giornale online alcamese di cui è direttore. “Corruzione e abuso, condannato Catalano”. Così era il titolo di ieri, così è quello di oggi. Coerenza, modus cogendi del buon Vicenzo.
Anche chi scrive i titoli nel Giornale di Sicilia, stamani, si guarda bene dall’usare il termine “condanna” e la forma attiva “il giudice ha condannato”.
Nel “catenaccio” (ossia, il sotto titolo), usano la più morbida forma passiva, seconda la quale a Catalano «è stato inflitto 1 anno e 11 mesi» (di cosa? di sospensione dalle professioni, di soggiorno ?). Solo nel corpo dell’articolo si legge che si tratta di reclusione (qua la forma è attiva: «il giudice … ha inflitto»).
Il cambio diffuso dei titoli, le contradditorie “letture” di fatti chiari ed ufficiali, ma anche gli stessi quasi “copia ed incolla” tra gli articoli, l’errore epidemico di “un anno e 9 mesi” al posto di “1 anno e 11 mesi” in tutti i giornali e altre frasi identiche o quasi, gettano, purtroppo, ancora discredito sull’informazione locale. Gli Autori dovrebbero trarne spunti di riflessioni profonde.
Tuttavia, comprendo pure che ci sono anche legittimi bisogni di sopravvivenza in un ambiente “difficile” quale è Trapani, la Città dei Misteri, di Gladio, delle tante Logge, oltre quella a tutti nota: Corso Vittorio Emanuele e via Torrearsa.
“I Fatti per Dummies”: Catalano condannato o no? Colpevole o no?
Insomma, come stanno le cose? Cosa è successo? Proviamo a spiegare andando per punti.
LA SENTENZA. In esito al procedimento penale a carico del signor Angelo Catalano, le parti – il Pubblico Ministero Franco Belvisi e l’imputato diligentemente assistito dal difensore di fiducia Peppe De Luca, avvocato conosciuto e stimato in città per capacità professionali – hanno concordato la “Applicazione della pena su richiesta”. La pena richiesta e ratificata, ha precisato ieri il neo avvocato di fiducia Moceri, è stata di un anno e undici mesi di reclusione (non un anno e nove mesi, come riportato inizialmente dai giornali).
Da nessuna parte di accenna alla “sospensione condizionale” della pena; probabilmente non è stata richiesta e concordata.
Si tratta di un “procedimento speciale” previsto dall’articolo 444 del Codice di procedura penale per accelerare le sentenze e smaltire il lavoro giudiziario. Va però aggiunto che il successivo articolo 445, comma 1 bis, precisa che «la sentenza è equiparata a una pronuncia di condanna».
IL GIUDICE HA OPERATO CORRETTAMENTE. Il giudice s’è ritrovato nella sua pratica tutte le carte del procedimento, l’ordinanza di rinvio a giudizio predisposta dal Pubblico Ministero a seguito delle indagini e degli accertamenti delle Forze dell’Ordine, le memorie difensive presentate dall’imputato e l’accordo sottoscritto dalle parti.
Il giudice:
- sulla base degli atti in suo possesso, poteva ritenere che la prova del fatto di cui all’imputazione fosse stata carente e quindi «riconoscere che il fatto non sussiste o che l’imputato non lo ha commesso o che il fatto non costituisce reato» e quindi pronunciare una «sentenza di proscioglimento» (articolo 129 del Codice di procedura penale);
- poteva ritenere non congrua la pena proposta, rigettare l’istanza delle parti (Accusa e Difesa) e avviare il procedimento ordinario;
- «se ritiene corrette la qualificazione giuridica del fatto, l’applicazione e la comparazione delle circostanze prospettate dalle parti, nonché congrua la pena indicata, ne dispone con sentenza l’applicazione» (articolo 444, comma 2, del Codice di procedura penale).
Il giudice Emanuele Cersosino, si è convinto della bontà dell’ultima ipotesi! Oltre che legittima, perché prevista dalle norme, una scelta anche sostenuta dall’orientamento senz’altro predominante della Cassazione: non si può, di norma, revocare l’accordo di patteggiamento.
ALLORA CATALANO E’ COLPEVOLE? Non si può automaticamente sostenerlo. In teoria, Catalano potrebbe essere anche innocente, come si auto proclama. Semplicemente aveva ritenuto, sentito l’avvocato Peppe De Luca, che gli conveniva prendersi una condanna mite (al limite pure da innocente):
- per guadagnare un importante sconto di pena;
- per bloccare l’eventuale costituzione di parte civile del Comune di Erice per i danni all’immagine ipoteticamente arrecati all’Ente (ripeto nel caso di Erice perché a Trapani ciò accade di rado, almeno recentemente);
- per evitare un lungo e costoso processo;
- per ridurre una lunga e costante esposizione mediatica lungo tutta la durata del processo;
- per ottenere la non menzione nel “casellario giudiziario”;
- per ottenere l’estinzione del reato trascorsi 5 anni;
- per bloccare eventuali pene accessorie.
Comunque, di personali punti di vista trattasi.
Ma neanche è però certamente innocente. Se tale caso fosse stato eclatante, il giudice Cersosino avrebbe respinto la richiesta di “patteggiamento” e dichiarato la «sentenza di proscioglimento». Insomma, Catalano è solo macchiato, imbrattato, od anche prendendo in prestito il termine “MASCARIATO“, tanto usato ed abusato da Mastro Lindo.
E IL RICORSO PER CASSAZIONE? Angelo Catalano ha deciso (o gli è stato suggerito; ma sempre lui ha deciso) di cambiare tattica difensiva. il vecchio legale (vecchio per dire il precedente) col quale non era più in sintonia. Il nuovo legale, il marsalese Francesco Moceri, ha proposto una nuova strada giudiziaria. Tentare di fare il processo ordinario.
Coi maggiori rischi che ne seguono, quelli che si volevano evitare col “patteggiamento”. Ma anche con ipotetici vantaggi:
- assoluzione,
- dilatare i tempi per giungere alla prescrizione del reato,
- ipotetiche concessioni di amnistie o indulti, da parte del Parlamento,
- depenalizzazioni dei fatti contestati o altri eventi favorevoli deliberandi dal Parlamento.
Insomma sperare o vivere alla giornata.
Una strada impervia: la Cassazione, in passato, ha previsto la revoca del patteggiamento in rari casi. L’imputato può, infatti, «proporre ricorso per Cassazione contro la sentenza solo per motivi attinenti all’espressione della volontà dell’imputato […]» (articolo 448 del Codice di procedura penale, comma 2 bis).
E’ la strada che vuole percorrere l’avvocato Moceri: la tesi è che il consenso dell’imputato alla condanna patteggiata non sia stato “libero”, ma viziato dal «grande sconforto familiare e stress psicologico conseguente al lungo periodo di custodia cautelare sofferto per la durata di quasi 6 mesi» (in verità poco più di 5, ma poco cambia).
In ogni caso troppi, a mio parere. Ho avuto il coraggio di scriverlo, unico in città, il 26 giugno 2019, in “Angelo Catalano ancora agli arresti: affronti il processo da uomo libero”
«La giurisprudenza di legittimità che ammette la possibilità in tema di patteggiamento di revocare il consenso prestato […] condiziona tale possibilità ad una “sopravvenienza” oggettiva, non preventivabile, quale ad esempio una legge più favorevole (cfr. Sez. 4, n. 15231 del 08/04/2015), che alteri la precedente valutazione di convenienza sulla base della quale la parte si sia determinata a chiedere o ad acconsentire all’accordo (Sez. 4, n. 11209 del 23/02/2012), non certo a valutazioni del tutto soggettive ed unilaterali». Questa la tesi, invece, e lo spazio giuridico entro il quale si muove oggi la Cassazione, come definito dalla Sentenza Corte Cassazione, n. 4401, depositata 30 gennaio 2018, secondo quanto spiega l’avvocato Anna Larussa sul sito AltaLex.