STRAGE RIONE PALMA: E SE LA VITTIMA FOSSE PIETRO?
TRAPANI – «L’immane tragedia familiare del Rione Palme non può che suscitare, oltre all’umana pietà per un evento luttuoso così traumatico, una necessaria riflessione. Quello che è successo riguarda tutta la collettività trapanese, al di là dei motivi e delle dinamiche private che hanno determinato questa orribile violenza. La cronaca è purtroppo piena di drammi familiari e di cosiddette stragi della follia. La sensazione è che, davvero, qualcosa si sia rotto non solo nelle famiglie ma, più in generale, nel tessuto sociale di tutto il Paese», così scrive, in un proprio comunicato stampa, il Gruppo Anarchico di Trapani “Andrea Salsedo”, commentando la triste vicenda che ha coinvolto un 40 enne, sottoccupato, Pietro Fiorentino, separato, la sua ex-moglie, Stefania Mighali, la figlioletta Daniela, di soli 8 anni, suocera, e cognato.
«La strage del Rione Palme è davvero emblematica. Chi uccide è un uomo. Le vittime sono la moglie, la figlia piccola, la suocera anziana, il cognato disabile. In un solo colpo ci si trova di fronte a una massiccia violenza di genere mischiata alla soppressione di persone oggettivamente deboli e indifese. Chi ha ucciso era disoccupato, prigioniero del gioco d’azzardo, incapace di elaborare e superare la separazione dalla moglie e dalla famiglia. Talmente incapace di ricucire gli strappi della sua vita al punto da distruggere tutto, cose e persone, per poi ammazzarsi».
«Gli ingredienti sono sempre gli stessi: separazione, disoccupazione, assenza di assistenza umana da parte delle istituzioni – commenta, su Facebook, il consigliere comunale Giovanni De Santis – anche lui al centro di una vicenda personale di separazione. Fino a quando le separazioni saranno gestite dai tribunali e dagli avvocati con il cinismo tipico dei contenziosi commerciali, lo Stato potrà essere additato come il principale responsabile del massacro di tanti innocenti».
E’ come dargli torto? Pietro, a modo suo, ama Stefania. Lo testimonia il suo profilo Facebook. Scrive: “Stefania e Daniela (la figlia, ndr), vi amoooooo”. Inserisce una poesia dove afferma di essere “triste” e volere “riabbracciare” i suoi amori. Specifica, sempre sul social network, che è “sposato”. Invece è separato di fatto. Stefania non lo vuole piu’. E glielo scrive senza acrimonia, “meglio di te avere un buon ricordo piuttosto che continuare un rapporto che non funziona piu’”. Pietro risponde inserendo una condivisione con cui si ripromette di non fare “mai del male!” a chi ama. Che è successo, allora?
«Il contesto è quello in cui l’orizzonte esistenziale è soffocato dalla precarietà, dalla mancanza di prospettive, da un’alienazione quotidiana che stritola tutto e tutti – continua il Gruppo “Andrea Salsedo” -. Sarebbe davvero miope additare questo o quel sindaco, questo o quel servizio sociale, per cercare nelle solite “istituzioni assenti” il confortante capro espiatorio sul quale scaricare un senso di colpa collettivo. Le istituzioni sono sempre assenti, per definizione. Esse si limitano a perpetuare lo stato di cose, a fornire – nel migliore dei casi – dei palliativi che a Trapani non ci sono nemmeno».
«Il malessere sociale non appartiene solo al Rione Palme, e le sue cause sono strutturali. Quella in cui viviamo è una società del tutto simile a un tritacarne, dove le famiglie rappresentano gli incubatori di un disagio profondo, dove gli individui sono ridotti al rango di ingranaggi di una macchina micidiale. “Produci, consuma, crepa” si diceva un tempo. E oggi che non si riesce neanche più a produrre, e sempre più persone vengono progressivamente espulse dal mercato del lavoro, l’alienazione si fa sempre più intollerabile e si trasforma in desiderio di dominio, in incapacità di comunicare con se stessi e con gli altri, in esercizio disperato della violenza».
«I fatti di via Omero rispondono brutalmente alle sterili polemiche dei giorni scorsi a proposito di classifiche sulla qualità della vita a Trapani o nella sua provincia. E allora, se tutto questo può avere un senso, pensiamo che fatti di questo genere siano un indicatore allarmante che ci chiama a un’assunzione di responsabilità individuale ancorché collettiva. Bisognerebbe sforzarsi di riparare il tessuto connettivo di questa società ridotta ormai a una poltiglia anonima; si dovrebbe affrontare il degrado dei rapporti umani e sociali riattivando legami di solidarietà e di mutuo appoggio per far fronte al disagio economico ed esistenziale e non sprofondare nella solitudine, a casa come nel quartiere in cui viviamo».
«Se non si esce dall’ingranaggio, restiamo tutti schiacciati».
Ciao. Complimenti per l’articolo perchè riguarda un fatto molto scottante e tristissimo, sul quale già quasi tutti si erano fatti un’idea, ma la “contro-informazione” si occupa anche di questo, non è per forza fare il “bastian-contrario” ma analizzare lati del poligono che nessun altro vuole vedere.
Tra le voci che ho sentito, vorrei sapere se puoi confermarmi questa:
dicono che il Fiorentino aveva mantenuto e sfamato famiglia, suocera e cognato per 10 anni dando fino all’ultima goccia di sangue come un padre modello, e poi appena ha avuto un problema con il lavoro ha ricevuto come ringraziamento un bel regalo: divorzio, esclusione dalla casa, dalla vita della moglie e della figlia che amava ritrovandosi in mezzo a una strada. Inoltre mi hanno detto che era la moglie ad avere problemi con il gioco d’azzardo, e non lui.
E’ chiaro che questo non giustifica in nessun modo l’omicidio, ma io ho sentito vicino il suo sentimento. A volte diamo tutto e finchè ci va bene abbiamo chi ci segue, chi ci succhia il sangue, ma se al primo problema sono tutti pronti a dimenticarsi di noi, la vittima vera potrebbe davvero essere Pietro Fiorentino, come ogni giorno tante persone vengono abbandonate.
Non so se queste voci sono vere, mi viene difficile crederlo.
Ma secondo me è proprio nei momenti di crisi che dobbiamo rimanere tutti uniti.