Taci o Ti querelo! I Politicanti usano la Magistratura come arma?
«In Italia i procedimenti giudiziari a carico di giornalisti, blogger e opinionisti accusati di diffamazione a mezzo stampa sono quasi seimila ogni anno, e il loro numero cresce al ritmo di 470 l’anno. Tutto ciò condiziona – anche con condanne a pene detentive che ogni anno assommano a cento anni di carcere – la libertà d’informazione, limitando la facoltà di esercitare in piena libertà il diritto di informare e di essere informati». così si legge sul dossier «Taci o ti querelo!» redatto da «Ossigeno per l’Informazione» e presentato ieri, 24 ottobre, a Palazzo Madama.
«A subire le conseguenze di queste limitazioni – conclude il Rapporto – sono in definitiva i cittadini, ai quali è negato, in tutto o in parte, il diritto di conoscere alcune informazioni necessarie per partecipar alla vita pubblica».
Ecco, a questo link, il Rapporto.
Il commento dei Vertici della Politica Italiana
Occorre un «rafforzamento delle tutele verso chi con coraggio, dedizione e professionalità esercita un diritto di libertà che è fondamentale per la salute di qualunque comunità democratica» ha dichiarato il ministro della Giustizia Andrea Orlando ai margini della presentazione.
Ministro che poi, a scanso di equivoci, ha precisato: «Ciò vale per il settore della carta stampata come anche per gli altri, diversi ambiti nei quali si articola oggi lo spazio pubblico, a seguito di una straordinaria rivoluzione tecnologica che offre nuove opportunita».
Gli ha fatto eco il presidente del Senato e magistrato, Pietro Grasso: «Mi colpisce che ogni anno si registrino numeri davvero spropositati di querele infondate: secondo i dati del ministero «della Giustizia» relativi al 2015 infatti sono state infondate 5.125 querele, circa il 90% di tutte quelle a carico dei giornalisti».
Semplici affermazioni di comodo?
Sembra proprio di sì, se il numero di procedimenti continua ad aumentare di anno in anno.
Sembra proprio di sì, se si rileva l’inerzia del Parlamento ad approvare una norma che preveda una condanna automatica del querelante alle spese ed al risarcimento nel caso di archiviazione.
Sembra proprio di sì, se si rileva l’inerzia del Parlamento ad approvare il richiesto provvedimento di «depenalizzazione» del reato di diffamazione lasciando la tutela delle eventuali vittime all’ambito del procedimento e del risarcimento – ove riconosciuto – «civile».
Le proposte dell’Osservatorio per l’informazione
«Chi commette questi abusi dovrebbe essere scoraggiato con gli strumenti previsti dal diritto, applicando in modo sistematico le penalità già previste per pire le liti temerarie, contestando d’ufficio il reato di calunnia», dichiarano dalle parti di «Ossigeno per l’Informazione».
Ciò, invece, non avviene. Anche se la Legge ne prevederebbe, già, l’azione d’ufficio.
Le querele? Nel 90% dei casi sono pretestuose
L’enorme mole di lavoro che intasa Procure, Cancellerie e Tribunali si conclude, poi, già in fase di «indagini preliminari» nel 70% dei casi sul binario morto dell’archiviazione da parte dello stesso GIP.
Nei restanti casi, quando il procedimento approda concretamente nell’Aula di Giustizia, un ulteriore quota del 32% dei casi il procedimento si conclude con la «remissione della querela», nel 26% dei casi con «l’assoluzione» dell’imputato, nel 20% con una semplice «multa», nel 5% con la «prescrizione» e, infine, solo nel 9% dei casi con la condanna alla «reclusione», mediamente di durata sotto l’anno.
Sulle spalle del «giornalista» imputato, in ogni caso, restano le spese legali sostenute per difendersi, migliaia di euro: «i giornalisti querelati per diffamazione a mezzo stampa spendono ogni anno almeno 54 milioni di euro per sostenere le spese di difesa legale», spiega Ossigeno.
A perdere è la Libertà di Pensiero e la stessa Democrazia!
E’ chiaro, in definitiva, come denuncia sempre «Ossigeno per l’Informazione» che «le querele pretestuose siano usate strumentalmente a scopo intimidatorio e ritorsivo come un vero e proprio bavaglio contro i giornalisti che pubblicano notizi scomode … non hanno niente a che fare con la tutela della reputazione personale. Questi abusi fanno girare la macchina della giustizia a vuoto e la trasformano in uno strumento di intimidazione e ricatto».
«Occorre difendere la reputazione delle persone e punire le offese gratuite e infondate – prosegue Ossigeno –. Ma non è saggio buttare via il bambino insiemall’acqua sporca, come avviene in Italia. Punire la diffamazione a mezzo stampa sul piano penale, e addirittura con una pena detentiva, produce – come sottolineano le massime istituzioni internazionali – un “chilling effect”, cioè ha un effetto raggelante sui giornalisti, sui giornali, sull’intero mondo dell’informazione. Il timore di un’incriminazione e l’eventualità, anche remota, di una condanna da scontare in carcere (o con le modalità alterntive alla detenzione in una cella) inducono molti operatori dell’informazione a trattare soltanto notizie soft».