TRE PISTE PER L’INCIDENTE

ImageTRAPANI –“Si tratta di incidenti annunciati e tali potrebbero continuare ad essere, mi stupisco anzi che in un anno ne siano occorsi solo due”. E’ la pesante affermazione del Dott. Sebastiano Scarpa, in circostanziata lettera-denuncia inviata alla Redazione del “Messaggero” (Il Messaggero, 8 agosto 2008) che getta una “lettura” delle motivazioni delle concause dell’incidente occorso, la notte del 7 agosto, all’aliscafo “Ettore M.”, della compagnia Ustica Lines, durante il tragitto da Favignana a Trapani, e che è costata il ferimento di 68 dei 144 passeggeri, di cui uno, una donna, molto grave: rischia la paralisi.

Abbiamo potuto constatare – prosegue l’esposto – che gli aliscafi che collegano frequentemente le isole, viaggiano ben all’interno del porto ove vige il limite di 5 kmh, sia in entrata che in uscita, a velocità tali da sollevare onde abitualmente di più di un metro d’altezza”.

La conferma giungerebbe da La Repubblica: “La posizione del relitto indicherebbe che al momento dell’impatto il mezzo viaggiava ancora sulle ‘ali’. In questo caso, ne seguirebbe che il mezzo procedeva a una velocita’ piu’ alta rispetto a quella normale nella manovra di ingresso in porto”.

Ma il dott. Scarpa non si limita ad accusare solo i comandanti degli aliscafi, e magari i loro armatori che prevedono tabelle di “marcia” impossibili da rispettare nel periodo estivo, ovvero di maggior traffico.

L’eccesso di velocità, avviene, secondo Scarpa, “nell’apparente indifferenza della Capitaneria di Porto, che per lo più non si vede controllare il traffico o quando una rara vedetta incrocia, passa a fianco e “zompa” sulle onde senza dir nulla, nonostante vedano le nostre barche letteralmente sballottate dalle potenti ondate”.

Non più tardi di 10 giorni fa – è la testimonianza diretta di Scarpa – 3 delle persone che avevo a bordo sono cadute, per fortuna verso l’interno del mio gommone (quasi 9 metri, per cui non una piuma), sollevate dalla coperta da queste “anomale” esattamente di fronte all’approdo degli aliscafi, davanti alla Cattedrale del centro città”.

Che il dott. Scarpa non sia un mitomane lo attesta il suo curriculum: “Chi scrive è pilota di Offshore e primatista mondiale di attraversamento d’Italia in solitaria (Venezia-Trapani, 938 km in 20 ore e 30’, 24 giugno 2007, premio “Atleta dell’anno 2007”) che alle onde è abituato, ma non in un porto” (vedi sito Nautica.it)

Per di più – conclude Sebastiano Scarpa – questi aliscafi, forse tecnicamente obsoleti, sicuramente incuranti dell’ambiente, particolarmente in fase di accelerazione, quindi proprio nel porto, emettono una tale coltre di spesso fumo nero che ristagna sull’acqua anche dopo il passaggio e costringe a girare al largo. Ancor più triste è il fatto che ho più volte segnalato al telefono questa situazione alla locale Capitaneria, ma non ho visto alcun provvedimento sia per la sicurezza delle persone che per la tutela di un patrimonio naturale che non ha nulla da invidiare alle mete tropicali”.

Diversa, e ciò è un’auto-difesa naturale, la posizione “ufficiale” (il comandante dell’aliscato “Ettore M.”, Giuseppe Banano,34 anni, si rifiuta di testimoniare, per ora) che giunge comunque dal “bordo”: si legge ancora su La Repubblica, 10 agosto 2008: “Il giorno dopo l´incidente, Giuseppe Danese, uno dei marinari a bordo dell’Ettore M., ha “puntato il dito contro l´illuminazione della diga foranea, sostenendo che la struttura non mostrerebbe nitidamente la via di accesso al porto”.

Una posizione che sarebbe appoggiata da Girolamo Fazio, il sindaco di Trapani, e carissimo amico del comandante Morace, armatore dell’Ustica Lines, la società coinvolta nell’ultimo incidente: Fazio, in una nota urgente al ministro delle Infrastrutture e trasporti, Altero Matteoli, riporta AGI, 8 agosto 2008 denuncia che “da più parti tali incidenti con esiti drammatici vengono attribuiti alla scarsa sicurezza dell’ingresso del porto di Trapani, con difficoltà nell’accedervi a causa della scarsa visibilità e dello spazio angusto poco compatibili con le esigenze di trasporto marittimo”, peccato che tale denuncia avviene dopo che “La diga foranea di Trapani e’ stata allungata nel 2005, nell’ambito delle opere per ospitare le regate preliminari dell’America’s Cup di vela”. Che non fossero gli ambientalisti i “nemici” della Città, ma piuttosto coloro che hanno progettato, approvato e fatto finanziare tale opera? E chi sono costoro se non chi conosciamo?

Infine, ancora in “rete”, su un commento al sito di Repubblica del 9 agosto, si legge una interessante “lettura” dei fatti da parte di Mariano Sisimbro: “Il dramma si ripete allo stesso punto ed alla stessa ora. Questo deve farci trarre delle conclusioni: i capitani degli aliscafi sono incompetenti? Certo di no, equipaggio ridotto, infatti è solo lui alla conduzione della navigazione e tutto va bene di giorno quando tutte le manovre si fanno a vista, ma la sera entra in funzione il radar il quale ha i suoi tempi di elaborazione e di lettura. Ma per il caso del Ettore Morace dico che la colpa è del tipo di lavoro di allungamento del frangiflutti. Infatti, come vedo dalla foto dell’ultimo incidente, il braccio di banchina non è alto e poi non vi sono i classici scogli, ma bensì quei tetrapiedi in cemento armato e tutti tondeggianti. Sono una buona barriera alle onde, ma anche alle onde elettromagnetiche del radar per cui non si ha un eco di risposta sul radar. La Capitaneria di Trapani dovrebbe installare un riflettore radar come hanno le piccole imbarcazioni a vela per farsi vedere al radar delle navi in vicinanza”.

Certo è che tutte le ipotesi devono essere vagliate, tutte le colpe (concause) individuate e trasparentemente, pubblicamente e tempestivamente denunciate. Non è possibile che l’attraversamento di un breve tratto di mare, col tempo favorevole, debba costare vite umane.

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